L’Europa è costretta a restare seduta sullo sgabello rotto della recessione, mentre l’economia americana ha ripreso a correre e la gran parte della colpa  è delle trappole tese dalla Germania di Angela Merkel e dal connazionale Weidmann, capo dei falchi della Banca centrale europea e della coriacea Bundesbank.

Ma anche Mario Draghi, appena premiato governatore dell’anno,  non ha fatto abbastanza per trainare il Vecchio Continente fuori dalla crisi.  A bocciare indirettamente la politica monetarie dell’Eurotower è Jp Morgan Private Bank.  «Mentre la Federal Reserve ha attuato una politica aggressiva di allentamento monetario durante la crisi, la Banca centrale europea si è trovata più spesso impegnata in lunghe discussioni sull’inflazione e, nel 2011, ha persino alzato per due volte i tassi di interesse!», nota Sara Yates, vice presidente e global forex strategist.

Secondo la banca americana, di conseguenza, «la politica della Bce è attualmente 150-200 punti base sotto i livelli ottimali relativamente all’outlook economico dell’Eurozona, mentre al contrario la politica della Fed è troppo accomodante». Se si vuole una prova di queste diverse reazioni da parte delle banche centrali, basta guardare al livello del cambio euro-dollaro. Attualmente è solido a 1,36 e anche durante il picco della crisi dell’Eurozona, è sceso a malapena sotto 1,20

 

E’ improbabile che la BCE spinga l’euro al ribasso con un peggioramento della situazione dell’Eurozona L’inflazione dell’area euro è bassa e la crescita è debole. Ma, presumibilmente, la Bce ha già risposto a questi problemi quando ha tagliato i tassi di interesse allo 0,25%, lo scorso novembre. A meno che il quadro non peggiori ulteriormente, riteniamo che sia molto improbabile un ulteriore accomodamento di politica monetaria da parte della Bce. Pensiamo che Draghi abbia confermato la nostra opinione durante l’ultima conferenza stampa della Bce, quando ha spiegato che l’istituto di Francoforte interverrebbe se (e solo se) una o più delle seguenti condizioni si dovesse realizzare:

 

 

  1. l’outlook dell’inflazione peggiora. In altre parole, se l’inflazione inizia a seguire un trend discendente, invece di essere semplicemente bassa;
  2. i tassi a breve termine (i rendimenti dei titoli di Stato con durata inferiore a 3 anni) calano senza che la flessione sia stata determinata da un intervento di politica monetaria.

Tutto ciò fa ritenere improbabile, in questo momento, un calo dell’euro in scia a politiche della Bce. Inoltre, come visto a fine 2013, condizioni più rigide del mercato monetario spingono l’euro al rialzo. Questo indica che, nel caso si verificasse lo scenario 2,  è probabile che prima il cambio euro-dollaro salga.

Come può la Bce allentare la propria politica monetaria? La Bce ha diverse opzioni utilizzabili per allentare la propria politica monetaria. Le esaminiamo singolarmente.

Taglio dei tassi di  interesse: attualmente il tasso si attesta a 25 punti base e può essere ulteriormente tagliato, diciamo a 12 punti base. Come visto a novembre, l’impatto di questa mossa è negativo nel breve termine per l’euro. Ma un taglio dei tassi è anche positivo per la crescita quindi il peso sull’euro sarebbe di breve durata. A nostro avviso, una mossa di questo tipo avrebbe più successo nel limitare i rialzi della moneta unica, perché restringerebbe il corridoio in cui la parte corta della curva del mercato monetario si muove. Una risposta percorribile nel caso uno dei due scenari si realizzasse.

Nuovi prestiti a basso costo «Ltro»: riteniamo con convinzione che un’altra Long Term Repo Operation inonderebbe il sistema di liquidità e farebbe scendere l’euro. Tuttavia, con le banche che stanno già ripagando la scorsa Ltro, non ci è chiaro se ci sarebbe una richiesta forte per una misura di questo tipo. Inoltre, pensiamo che la principale sfida per l’Eurozona sia la disponibilità del credito (non della liquidità). Per questo, molti opinionisti hanno suggerito che se la Bce dovesse lanciare una nuova Ltro, questa liquidità sarebbe concessa solo a patto di rispettare alcune condizioni. In un certo senso, potrebbe trasformare la Ltro nel Funding for Lending Scheme del Regno Unito. Se così fosse, l’impatto sull’euro sarebbe più ambiguo. Innanzitutto, la sua efficacia sarà probabilmente discutibile, poiché come nel Regno Unito, le banche che più beneficerebbero da questo schema sono giù impegnate nel ridurre la propria leva finanziaria. Secondariamente, condizioni di credito più facili di solito danno sostegno a un’economia e alla sua valuta. Per questa ragione, è poco probabile una nuova Ltro. Inoltre, il suo unico probabile risultato sarebbe un lieve ribasso per l’euro.

Tassi di interesse sui depositi negativi: attualmente il tasso sui depositi delle banche europee presso la Bce è allo 0%. Tagliarlo vorrebbe dire avere un tasso negativo. Poiché tale indicatore funge da ancora per la curva dei rendimenti, un tasso negativo farebbe scendere l’intera curva e anche l’euro. Tuttavia, poiché sarebbe un territorio ancora inesplorato per la Bce,  l’opzione è improbabile.

Quantitative easing: Se la Bce dovesse seguire la Fed acquistando grandissimi importi di titoli di Stato e di pacchetti di mutui (e altri finanziamenti) cartolarizzati,  svaluterebbe l’euro. Anche questa opzione è altamente improbabile, data l’opposizione della Germania.

Yates evoca scenari ipotetici e al tempo stesso ne delinea l’irrealizzabilità (vista la strenua opposizione tedesca a tutto ciò che fa rima con inflazione come una svalutazione della moneta unica). Una Bce che fa vera politica monetaria resterà un sogno fin quando Berlino metterà i suoi dobermann a guardia dell’Eurotower. Un esempio ne è la nuova vicepresidente della Bce e nuovo capo della supervisione unica, Sabine Lautenschläger, una che la pensa come Weidmann: il debito sovrano non è a rischio zero e la Germania non può farsi invischiare dai Paesi periferici. Piuttosto ci manderà i suoi panzer…

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