Il prodotto interno lordo dell’Italia nel primo trimestre del 2014 ha segnato un calo dello 0,1% rispetto agli ultimi tre mesi del 2013 che si erano chiusi con una crescita congiunturale dello 0,1 per cento. L’Istat ha precisato che, su base annua, il Pil è invece diminuito dello 0,5%, in lieve miglioramento rispetto al dato tendenziale di meno 0,9% registrato nel quarto trimestre del 2013.

Sono dati tremendamente negativi che gettano un’ombra anche sull’azione del governo. Il premier Matteo Renzi ha dichiarato di non «illudersi quando il Pil è a +0,1% e di non deprimersi quando è a -0,1%», fermo restando che «valuteremo con grande attenzione». In fondo, non gli si può dare la colpa dell’andamento negativo dell’economia quando il suo esecutivo si è insediato solo nella seconda metà di febbraio. Certo, gli indicatori macroeconomici di aprile non ispirano ottimismo e, alla fine dell’estate, se la musica non cambierà lo si potrà chiamare serenamente sul banco degli imputati come Wall & Street ha già fatto per quanto riguarda il decreto lavoro.

Ecco perché è utile capire quali siano le cause di questo scivolone inaspettato (gli analisti prevedevano un incremento congiunturale dello 0,2%) e delle conseguenze nefaste che potrà avere a fine 2014 sul rapporto deficit/Pil e soprattutto sul debito/Pil che è già oltre il 135 per cento. Pubblichiamo quindi l’analisi di Paolo Mameli, senior economist del Servizio Studi di Intesa Sanpaolo.

«La flessione congiunturale è il risultato di un andamento negativo del valore aggiunto nell’industria (in senso lato, ovvero comprensiva di energia e costruzioni). In effetti, sulla base dei dati di produzione industriale (cresciuta nello stesso periodo, al netto delle costruzioni, di +0,2% t/t), non era prevedibile un andamento negativo dell’industria. Il calo del Pil potrebbe dunque essere stato causato da una ulteriore caduta (più accentuata del previsto) degli investimenti in costruzioni, eventualmente in aggiunta a un contributo negativo del commercio con l’estero (probabilmente derivante da un calo dell’export verso i Paesi extra-Ue)».

A voler ulteriormente semplificare la disamina: l’industria (in particolare le costruzioni) ancora non ha ripreso a marciare cogliendo i deboli segnali di ripresa. E, soprattutto, il rafforzamento dell’euro registratosi nei primi mesi del 2014 ha penalizzato le nostre esportazioni verso i Paesi extra-Ue, come testimoniato dalle trimestrali di alcune società quotate forti sui mercati internazionali come Campari.

«Il dato è sorprendente – aggiunge Mameli – e segnala consistenti rischi verso il basso sulla crescita 2014 (che dipende in misura cruciale dall’andamento nel 1° trimestre dell’anno). La variazione acquisita del Pil (cosa accadrebbe se nei restanti tre trimestri se la crescita fosse pari a zero; ndr)  nell’anno in corso è negativa (-0,2%), e dunque, anche ipotizzando un rimbalzo significativo già dal trimestre in corso, il Pil 2014 potrebbe risultare a fine anno inferiore alle attuali stime di consenso (+0,8% secondo il Def del governo). Tuttavia il dato, se avrà un impatto negativo sulle stime di Pil 2014, non mette a nostro avviso a rischio la prospettiva di una ripresa dell’attività economica nei restanti trimestri dell’anno».

Insomma, la ripresa si può ancora agganciare ma probabilmente cresceremo meno di quello che ci aspettavamo e i tecnocrati di Bruxelles continueranno a lamentarsi del deficit eccessivo.

Wall & Street

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