«Da troppo tempo il signor Della Valle si esibisce con dichiarazioni nei miei confronti che sono ingiuriose e inaccettabili: quindi ne dovrà rispondere nelle opportune sedi giudiziarie nei tempi e nei modi che mi riservo di valutare. Quanto alle indagini della Procura di Bergamo relativamente alla governance di UBI Banca, tengo a ribadire la mia serenità di aver agito nel più totale rispetto delle leggi, come del resto è stato nel corso di tutta la mia vita professionale».

Il compassato professor Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, ha messo da parte il suo tradizionale aplomb e ha manifestato l’intenzione di adire le vie legali contro Mister Tod’s che da tre anni ormai non gli risparmia stoccate e stilettate nelle sue pubbliche apparizioni. L’ultima risale a ieri quando, con un comunicato, l’imprenditore marchigiano ha sparato ad alzo zero contro il risanatore del vecchio Banco Ambrosiano.

«Se Giovanni Bazoli avesse un briciolo di dignità, dovrebbe chiedere scusa agli italiani e dimettersi immediatamente da ogni incarico pubblico.

Le notizie sconcertanti che emergono da alcuni organi di stampa ( pochi purtroppo) sul suo operato e su quello di altri suoi compari, non possono passare inosservate e tanto meno rimanere impunite.

Vedere come ha utilizzato il suo potere ed il suo mondo di relazioni trasversali per fare i suoi interessi e per agevolare e favorire figli e parenti è scandaloso.

I cittadini italiani perbene non meritano di subire altri scandali e soprattutto non meritano di vedere che, se a commetterli sono persone potenti, tutto passa nel dimenticatoio.

Se dobbiamo credere ad un nuovo corso politico,  dove tutti i cittadini siano considerati giustamente uguali, il caso Bazoli sarà il vero esempio da usare per capire se veramente si vuol cambiare, allontanando un certo mondo che ha fatto enormi danni al Paese.  Se questo signore ed i suoi sodali rimarranno al loro posto vorrà dire che nulla cambia veramente  e che la questione morale, ancora prima di quella giudiziaria, viene valutata con pesi e misure diversi.

Sarebbe una vera vergogna».

In calce al comunicato il rinvio a un articolo di Repubblica nel quale si descrivono alcuni eventuali conflitti di interessi che sarebbero emersi ai vertici del gruppo bancario bergamasco-bresciano. Si tratta di circostanze legate alle indagini su Ubi Banca che il Giornale aveva sempre fedelmente descritto anche negli anni scorsi. È noto, infatti, che il quinto maggiore istituto di credito italiano sia nato dall’accordo tra due presidenti: Emilio Zanetti per il gruppo di soci bergamaschi e Giovanni Bazoli a rappresentare gli interessi della «sua»Brescia. Tutto trasparente, tutto alla luce del sole.

Ma è chiaro che le polemiche di Della Valle (e l’utilizzo del link a Repubblica ne sono una testimonianza) ormai da tre anni mirano a scompaginare gli assetti dell’ultimo sancta sanctorum dei poteri forti ancora in vita: Rcs, cioè il «Corriere della Sera» che Giovanni Bazoli considera una sua creatura, avendone preservato l’indipendenza dopo il fallimento della vecchia Rizzoli legata a doppio filo con il vecchio Ambrosiano.

Con Mediobanca in ritirata e Fiat stabilmente al 20% dopo l’aumento di capitale dell’anno scorso, Della Valle – fermo all’8,9% – non è riuscito a ritagliarsi quel ruolo di kingmaker cui ha sempre (legittimamente, per carità) aspirato. E così nelle sue ospitate televisive non ha mai perso occasione di attaccare tanto Bazoli quanto Yaki Elkann, «rei» di avergli tarpato le ali. Il primo, coordinando assieme a Piazzetta Cuccia e al Lingotto, gli assetti del vecchio patto e il secondo con un abile mossa in sede di aumento diventando il primo azionista del Corriere.

È vero che l’ingresso di Urbano Cairo nell’azionariato di Rcs ha un po’ sparigliato le carte, ma la vecchia guardia è ancora salda. Certo, da azionista Della Valle ha tutto il diritto di lamentarsi per una società che nel 2014 chiuderà ancora in rosso e che nel primo trimestre 2014 ha perso circa 54 milioni di euro e ha visto i propri debiti salire a 521 milioni. Ma è sicuro che l’afflato sia puramente imprenditoriale. O forse dietro alla guerra che da più parti scatena contro l’ad Pietro Scott Jovane non si cela piuttosto il desiderio di essere l’artefice della nomina del prossimo direttore del Corriere che da primo quotidiano italiano ha una forte capacità di influenzare l’opinione pubblica? La domanda di per sé è lecita.

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