Il lavoro (o meglio la disoccupazione) continua a essere la grande ferita dell’Italia di Renzi, soprattutto tra i giovani e gli over 50.  Molti italiani, orfani anche di un contratto a termine dopo che il posto fisso è da tempo un miraggio, sono costretti a tentare l’avventura in proprio. Dopo essersi soffermati su tutte le cose da sapere per creare una start up e raccolto l’esperienza diretta di un neo-imprenditore digitale, aver analizzato come scrivere il curriculum e affrontare il colloquio di lavoro per essere assunti,  come salvare il proprio posto se l’azienda sta tagliando il personale, chiediamo oggi a Claudio Gandini, avvocato milanese specializzato in proprietà intellettuale,  che cosa possono fare i giovani (e non) che hanno ideato un nuovo prodotto o servizio e vogliono proteggerlo con un brevetto, per poi realizzarlo in proprio o venderlo a una grande azienda. Senza vedersi “rubare” l’idea. Con Gandini riprendiamo quindi la galleria di interviste agli esperti a corredo dell’ampia guida  – che tanta attenzione riscuote ormai da un anno tra i lettori –  con tutti i consigli per trovare un impiego ai ragazzi di 18 anni che stanno terminando le superiori, ai neolaureati che affrontano per la prima volta le imprese, e agli over 55 lasciati sul marciapiede dalla crisi. Trovate tutti post – tra cui quelli sul Job act,  il disastro provocato della Riforma Fornero,  su che cosa conviene studiare in università e quanto pesa aver fatto un’esperienza all’estero,  nella nostra sezione “Lavoro”.

 

Avvocato Gandini, secondo la classifica dell’Epo per il 2013, l’Italia è all’undicesimo posto con 4.662 brevetti. I depositi di domande effettuati da richiedenti italiani sono diminuiti del 2,7%, al contrario di quanto è avvenuto per Germania, Francia, Svizzera, Gran Bretagna e Olanda. Siamo destinati a diventare un Paese terra di conquista?

«Non credo che l’Italia diventerà terra di conquista, anche perché le capacità intellettive e creative, la genialità, ci appartiene. Negli altri Stati c’è un’abitudine differente, forse perché proprio le idee sono meno numerose. A noi capita di dare per scontato un’intuizione, che precede una realizzazione industriale, non valorizzandola come dovremmo. Anzi può capitare spesso che un’idea venga carpita perché non è stata anticipatamente brevettata».   

 

Che cosa si può fare per diffondere i principi di proprietà industriale a tutti i livelli?

«Occorre diffondere l’idea che esiste un patrimonio che non è solo quello economico, ma anche intellettuale. Occorre spiegare che un’azienda vale tanto più quanto più accende le intelligenze, le spinge a ricercare, per poi tutelare con la “brevettazione” il risultato delle scoperte. Se anche si devono pagare delle commissioni a chi ha eventualmente inventato, il vantaggio per l’azienda è superiore, non solo per l’affermazione dei propri prodotti, ma anche per gli eventuali ricavi ottenuti da parte di chi in futuro vorrà usare il brevetto».

 

Quali caratteristiche deve avere un prodotto per essere brevettabile?

«Non è semplice rispondere a questa domanda, perché il linguaggio può sembrare troppo tecnico. Cerco di spiegarmi. Devono sussistere i requisiti della novità, dell’attività inventiva e dell’industrialità. La novità sussiste se l’invenzione non è compresa nello stato della tecnica. Un’invenzione è considerata come implicante un’attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica. Da ultimo, l’industrialità indica che il trovato oggetto della domanda di brevetto deve essere idoneo ad avere applicazione industriale».

 

Se un privato o un piccolissimo imprenditore ha una buona idea, quali passi deve compiere per coprirla con un copyright? Quanto costa? Quanto è efficace? Vale anche all’estero? Cina compresa?

«Perché un’idea diventi brevetto, occorre che si passi dall’intuizione ad una stesura più complessa, che deve rispettare i canoni di stesura, indicati dagli uffici brevettuali nazionali ed internazionali. Questo è il momento più delicato perché se fin dalla stesura della descrizione, non si garantisce il rispetto delle linee guida, l’idea non prende forma. Questo è il momento in cui occorre che si affianchi un consulente non solo tecnico ma anche giuridico, come peraltro avviene all’estero. I costi della tassazione sono pubblicati dagli uffici competenti. I costi della stesura fanno riferimento ai professionisti a cui ci si rivolge. La protezione di un brevetto può essere nazionale, europea, internazionale, Cina compresa. Segue regole precise. Negli altri paesi è affidata a studi locali. Questo vale per tutti, in particolare per la Cina. E’ una protezione certamente efficace, perché permette di difendere i propri diritti con importanti vantaggi economici».

 

Le creazioni di moda o di design (per esempio legati alla gioielleria) sono brevettabili? Con quali limitazioni?

«Vale anche per le creazioni di moda quanto detto precedentemente. In relazione a quanto mi viene chiesto in merito al design, il discorso è parzialmente diverso, in quanto cambiano i metodi di registrazione e la relativa durata».

 

Ai giovani italiani che sono convinti di avere elaborato una buona idea per un nuovo prodotto o servizio, quale percorso consiglia: gli incubatori/ business angels o di cercare di venderla a un gruppo già affermato?

«Mi verrebbe da rispondere che ogni idea deve appartenere alla persona che l’ha elaborata. Questo in relazione alla mia visione della vita. Come dicevo prima, un’idea però deve prendere corpo e per essere brevettata, seguire precise linee. Non parlando dei giovani che lavorano nei centri di ricerca e per ciò stesso sono già tutelati, ovvero che lavorano nel centro studi di un’azienda, sarei portato a dire che è importante venderla ad un gruppo già affermato, ma questo solo dopo aver ottenuto il brevetto».

 

Di norma come sono strutturati i contratti, anche a livello economico, con cui un privato cede un brevetto a un’azienda? Se si tratta di un prodotto di largo consumo e non si vuole vendere in blocco, quale percentuale si può pensare di strappare sulle vendite?

«La domanda coglie aspetti diversi su cui cerco di fare chiarezza. I contratti tra un privato ed un’azienda seguono spesso uno standard predisposto. Occorrerebbe sempre una personalizzazione e questo è il problema di fondo. Non lo dico per interesse personale, ma spesso la standardizzazione finisce per non garantire i diritti. Difficile trovare prodotti brevettati sul largo consumo, almeno inizialmente. Nel caso, la percentuale può variare tra il 5 e il 7 per cento».

 

Quanto è forte il rischio che un inventore veda il suo prodotto, pur brevettato, copiato dall’azienda a cui lo ha proposto con qualche variazione? In questo caso che cosa si può fare?

«Esiste certamente il rischio che un inventore veda il suo brevetto copiato dall’azienda a cui l’ha proposto con qualche variazione. In questo caso, occorre verificare di che tipo di variazione si tratta, se è proprio volta ad imitare il brevetto oppure no.  Il giurista esperto in questo è in grado di verificarlo e può certamente ottenere giustizia».

 

Alcune imprese (come Beghelli, Piquadro, Faac) stanno riportando la produzione in Italia per garantire la qualità dei loro manufatti, pensa che il fenomeno aumenterà di forza?

«Penso proprio di sì, perché la qualità a mio giudizio alla fine sarà premiante».

 

 

 

Il decreto Franceschini sull’equo compenso ha aumentato la tassa sulle copie private su smartphone, tablet e pc. È una difesa legittima della proprietà intellettuale o un iniquo balzello?

«Penso che la materia sia in evoluzione e che occorra tenere presente diverse esigenze. Gli organi di informazione hanno fatto sapere che Altro Consumo ha impugnato il Decreto. In questo modo si potranno verificare eventuali carenze normative».

 

 

 

 

 

 

Su cosa, invece, dovrebbe concentrarsi la difesa delle opere di ingegno?

«Personalmente penso che al di là degli slogans, la difesa delle opere dell’ingegno non può che passare attraverso una rafforzata tutela a livello normativo, che non tralasci gli aspetti economici dei diritti degli autori. Per capirci meglio, dobbiamo uscire dal tunnel delle cose gridate ed avere la consapevolezza che l’ingegno non è bene di una parte sola, ma riguarda tutti noi. Occorre pensare alla soluzione dei problemi con lungimiranza e moderazione di linguaggio».

 

Qual è il suo parere sulla cosiddetta Google-tax?

«E’ evidente che quando si parla di tasse si tocca un nervo scoperto. Favorire un gettito in Italia non è sbagliato. E’ evidente che bisogna sempre e comunque correlarsi all’Unione Europea, per quanto l’Italia sia stata la prima a introdurre questa imposta».

 

L’informazione online rimarrà gratuita o gli italiani dovranno abituarsi a pagarla?

«Non amo fare previsioni. In relazione alla mia cultura giuridica, sarei portato a dire che l’informazione dovrebbe rimanere gratuita, anche se poi questo cozza con una complessità di problemi economici. Insisto: è il modo di affrontare i problemi che andrebbe cambiato. Le soluzioni dovrebbero essere trovate salvando principi cardine».

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