Si fa presto a dire «Sblocca Italia», ma uscire dalla palude della burocrazia che paralizza grandi e piccole opere non sarà facile. Soprattutto se chi deve risolvere i problemi è, in molti casi, l’artefice dell’impasse. Certo, il premier Matteo Renzi, annunciando l’imminente arrivo in Consiglio dei ministri (dovrebbe essere varato il 29 agosto anche se è da metà luglio che la macchina della propaganda governativa si è avviata) dell’ennesimo provvedimento che dovrebbe sturare l’ingorgo normativo (con annessi 4,5 miliardi in 5 anni da destinare alle più importanti opere pubbliche), ha già goduto del suo quarto d’ora di celebrazioni gratuite. Ma la realtà ha tutto un altro colore e proprio Palazzo Chigi, in questo caso, è sul banco degli imputati.

 

La notizia, infatti, è che la Corte dei Conti ha ricusato il visto di legittimità alla delibera del Cipe che dà il via libera alla realizzazione dell’autostrada Orte-Mestre, 396 chilometri che uniscono il Tirreno all’Adriatico collegando cinque Regioni. In pratica, viene rifatta – come autostrada – tutta la Nuova Romea, la statale pericolosa e superingorgata che collega Venezia alla Romagna e al Centro Italia. Si potrebbe pensare, visto l’elevato costo dell’opera (circa 10 miliardi dei quali 1,8 di contributo statale a fondo perduto) che il «no» della magistratura contabile sia legato alla sostenibilità economica. E, invece, non è così: il controllo di legittimità riguarda la validità formale della delibera cui dovrebbe seguire a ruota il bando di gara. Insomma, non si tratta di soldi ma di norme, quelle che in Italia riescono sempre a metterti i bastoni tra le ruote.

Per narrare questa storia incredibile, però, occorre una piccola premessa. È l’8 novembre 2013: il Cipe, riunito dal governo Letta (ministro delle Infrastrutture era già Maurizio Lupi), dà l’ok alla Orte-Mestre, già prevista dalla Legge Obiettivo del governo Berlusconi nel 2001, dichiarata di pubblico interesse nel 2003 e con progetto preliminare approvato dal ministro Altero Matteoli nel 2010. La crisi economica aveva congelato l’iter, ma il governo Letta (con il decreto del Fare) tira fuori una buona idea: defiscalizza gli oneri delle imprese che si aggiudicano un appalto e, allungando le concessioni, recupera successivamente quanto perso di Ires, Iva e Irap.

Nel decreto del Fare, però, c’è un busillis. Gli sgravi fiscali, infatti, non si applicano alle opere per le quali sia già stato pubblicato il bando né a quelle già dichiarate di pubblico interesse. Nel momento in cui la delibera Cipe viene inviata alla Corte dei Conti per il visto (siamo a novembre 2013, ricordiamolo!), Palazzo Chigi si rende conto della difficoltà e aggiunge una postilla che possiamo sintetizzare così: «Cara Corte, non ti preoccupare del decreto, a breve emaneremo una norma che include anche la Orte-Mestre tra i progetti da defiscalizzare».

Nel frattempo cade il governo Letta e arriva Matteo Renzi, ma i contatti tra la Corte dei Conti e il governo proseguono. I mesi passano e della norma nessuna traccia. Il 30 giugno 2014 i magistrati avvisano il governo che il 7 luglio si sarebbe riunito il collegio per esaminare la delibera. Insomma, un ultimo appello tipo la domanda a piacere del professore al liceo. La risposta dei tecnici è un po’ vaga e si può riassumere così: «La defiscalizzazione si può dare per scontata, una norma ad hoc serve solo a ulteriore tutela dello Stato». La Corte dei Conti (sia lecito antropomorfizzarla) non ci vede più e boccia l’atto: troppo alto il rischio di un contenzioso con l’eventuale vincitore del bando per assumersi la responsabilità del nulla osta. Wall & Street hanno esaminato una delle ultime bozze del decreto «Sblocca Italia». Anche lì, per ora, non c’è traccia del provvedimento di defiscalizzazione della Orte-Mestre. Certo, nella slide relativa al piano «sblocca cantieri» la Orte-Mestre è inserita tra le opere prioritarie, ma occorre ricordare che, in ogni caso, l’autostrada dovrà ottenere il visto di legittimità da parte della Corte dei Conti, altrimenti non si potrà pubblicare il bando di gara. Quest’ultimo doveva essere pronto già nello scorso aprile di modo che già nel 2015 potessero partire i lavori. È lecito, perciò, domandarsi se ci si possa fidare di un governo pasticcione che in nove mesi non riesce a scrivere nemmeno tre righe di un provvedimento.

Wall & Street

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