«La fragilità di Genova e del nostro Paese è in queste ore uno specchio tragico della scarsa capacità di gestire fenomeni naturali, purtroppo prevedibili nella loro ricorrenza ciclica». Non è certo tenero Paolo Rubini, presidente di Anra, l’associazione che riunisce i risk manager (gli addetti alla valutazione dei rischi sia in ambito assicurativo e finanziario che in ambito aziendale), nel commentare la sciagura che ha colpito il capoluogo ligure.

 

«La cura e stretta sorveglianza di ponti, strade, infrastrutture, greti di torrenti e fiumi, troppo spesso interrati, dovrebbe essere al primo posto», aggiunge Rubini sottolineando che la maggiore attenzione al territorio consentirebbe di salvare vite umane significherebbe anche vite umane da terrapieni insicuri o da vie con poca manutenzione. «Secondo i dati resi noti dal Ministero dell’Ambiente il 9,8% della superficie del nostro Paese è ad alta criticità idrogeologica. Qui vivono 5,8 milioni di persone e sorgono 1,2 milioni di edifici. Secondo uno studio Cnr/Protezione Civile dal 1960 al 2012 frane e alluvioni hanno causato 7.128 vittime, con danni che una ricerca Cresme/Ance quantifica in 61,5 miliardi di euro e l’Ordine dei Geologi in ben 3,5 miliardi all’anno. «Per chi come noi quotidianamente deve gestire i rischi per professione, desta grande amarezza la scarsa propensione a reggere l’urto di inondazioni prevedibili», conclude Rubini.

Per questa ragione, Anra ha stilato una serie di dieci regole d’oro da osservare e seguire in un’ottica di salvaguardia delle imprese e della loro capacità produttiva in momenti di particolare difficoltà per effetto di condizioni climatiche avverse, come nubifragi, inondazioni e calamità naturali.

 «La migliore prevenzione si ottiene durante la fase di ubicazione del sito produttivo, che dovrebbe tenere conto del rischio inondazione, ma ci possono essere delle regole utili da ricordare, atte a prevenire danni ai beni e garantire la ripresa dell’attività nel minor tempo possibile», evidenzia Alessandro De Felice, consigliere di Anra e Chief Risk Officer di Prysmian.

 Ecco, quindi, il decalogo per garantire la continuità operativa della propria azienda.

1.   Identificare le potenziali cause di inondazione (non solo ad es. fiumi e canali adiacenti, ma anche forti piogge)

2.   Valutarne l’impatto in termini di livello previsto e relativa probabilità, mediante eventuali mappe di inondazione o serie storiche. Normalmente si prendono in considerazione eventi con probabilità di accadimento in base alle serie storiche conosciute degli ultimi 250 o 500 anni.

3.   Identificare le aree dello stabilimento che saranno maggiormente inondate.

4.   Monitorare il livello di piena dei corsi d’acqua adiacenti e prestare attenzione agli allarmi meteo.

5.   Installare barriere permanenti o temporanee per evitare l’ingresso di acqua all’interno degli edifici o in aree sotterranee

6.   Manutenere i sistemi di fognatura e raccolta acque meteoriche al fine di evitare ostruzioni e garantire il deflusso anche con l’installazione di valvole di non ritorno e pompe di drenaggio

7.   Installare protezioni permanenti sulle forniture critiche (gas, energia elettrica, vapore, acqua, ecc.) e sui materiali potenzialmente pericolosi e/o inquinanti.

8.   Trasferimento dei macchinari e prodotti in magazzino ad alto valore e/o critici (o almeno elevarli al di sopra del livello di inondazione storico)  

9.   Redigere ed includere nel piano di emergenza del sito, le azioni necessarie da intraprendere durante l’inondazione (installare barriere temporanee, chiudere le utenze critiche, ricollocare materiali critici, ecc.)

10.   Pianificare un piano di recupero post alluvione, includendo società specializzate nel rispristino edifici, macchinari e materiali

 

 

 

Wall & Street

 

 

 

 

 

Tag: , , , , , , ,