Per una volta Wall & Street si consentono una divagazione dal discreto fascino del denaro alla fiamma dell’eros di cui madre Natura ha affidato il governo alle donne. La questione, per alcuni pruriginosa, sono i seni che Veronica Maya ha regalato venerdì sera agli italiani sintonizzati su Rai 1 per seguire le prodezze canore e i travestimenti dei vip arruolati da Carlo Conti in  Tale & quale show.  La soubrette, evidentemente ragazza che sa come gira il mondo e la lancetta dell’audience, non è parsa scomporsi un granché quando ha ceduto il corpetto che l’avvolgeva; al contrario ha continuato per quasi un minuto a librare  le areole nel vento dell’etere al ritmo di Material girl di Madonna. Una canzone, insomma, che calzava a pennello con l’incidente, tanto quanto la fragilità dell’abito rosa pastello rispetto alle curve della “Maya desnuda”,  come ci permettiamo di vezzeggiare la bella Veronica (non ce ne voglia per questo).

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Sabato non c’era sito internet che non riprendesse lo spezzone dello scandalo, ma alcuni (forse sessofobici) hanno avuto la bella idea di nascondere quella sventagliata di tette con un pezzo di scotch digitale. Quasi la signora Maya avesse colpa di essere nata femmina e con tutti i pezzi al posto giusto. Tra i censori, dobbiamo annoverare il sito del Corriere della Sera e quello della Gazzetta dello Sport, insomma i giornaloni della Rizzoli. Nel palazzo di via Solferino avranno forse ritenuto  che quella vista urtasse il bon-ton dietro cui  buona parte della classe media italiana, che legge il Corriere,  rifugia i propri peccaminosi pensieri.

Qualcuno avrà forse pensato che non si poteva rischiare di fare arricciare il naso ai lettori o, ancor peggio, all’establishment che possiede le azioni di Rcs: la Fca di John Elkann, e il papà di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli. Peccato che siano gli stessi grandi azionisti del Corriere che, nell’ultimo anno, hanno ricevuto e ricambiato sassaiole di insulti con Mr Tod’s, Diego Della Valle, giungendo al limite della lapidazione. La posta in gioco in quell’occasione era molto più strategica del piacere provocato dal vedere qualche centimetro di carne scoperto di troppo:  si trattava della  spartizione del potere dentro al salotto del primo quotidiano del Paese e quindi in ultima analisi della sua linea editoriale. Il direttore Ferruccio de Bortoli, senza dubbio bravo, è stato licenziato, seppur a termine e con un assegno di consolazione milionario.

Ma veniamo al denaro, il gruppo Rcs ha perso nel 2013  218,5 milioni di euro che sommati ai -507 del 2012 fanno 725,5 milioni di buco in due anni. L’aumento di capitale del 2013 (400 milioni) è stato già divorato dalla società il cui debito bancario alla fine dello scorso ha nuovamente superato i 500 milioni di euro. L’anno prossimo è prevista dal piano una ricapitalizzazione di altri 200 milioni. L’amministratore delegato Pietro Scott Jovane ha progettato di cacciare via 600 addetti (tra i quali 200 giornalisti) in Italia. Testate periodiche storiche sono state chiuse o vendute. Pensate che nel 2014 le cose siano andate meglio? Vi sbagliate: Rcs ha perso nei primi sei mesi altri 70 milioni di euro, Insomma, la società è un pozzo senza fondo i cui azionisti, piuttosto che pensare a rimetterla in sesto, si divertono a giocare ai quattro cantoni.

A questo punto una  domanda: anziché censurare una signorina in topless, né più né meno scabrosa delle ragazze della porta accanto che d’estate calcano le spiagge italiane senza reggiseno o delle soubrette che finiscono seminude sui rotocalchi che l’Italia divora sotto gli ombrelloni, non sarebbe meglio concentrare gli sforzi per capire come dovranno essere fatti i giornali per sopravvivere alla continua contrazione della pubblicità e delle copie?

Un paio di tette, forse diventate tonde come la Luna sotto la mano di un valente chirurgo, restano un piacevole vedere.  Un incidente che aiuta l’audience della televisione di Stato e il traffico dei siti web (quindi le fee pubblicitarie che riconoscono Google o Yahoo). Se così non fosse  la Rete, che è l’ultima giudice e la definitiva bilancia delle pulsioni di tutti noi, non sarebbe ancora infarcita dal battere sui tasti di quanti vorrebbero scoprire ancora di più della procace Veronica, così come era avvenuto qualche tempo fa con la farfallina che Belen ha lasciato volare a  San Remo o più di recente con le mutandine che Laura Pasini ha dimenticato in camerino durante un concerto.

Chi ha potuto accarezzare con gli occhi la Maya desnuda della Rai ha poi  commentato il fattaccio, con i toni più diversi, sul divano di casa, su Facebook, Twitter o WhatsApp.  Ne è prova indiretta questo post: Wall & Street non hanno mai visto un istante di Tale & Quale Show, ma stanno calcolando quanto valga lo spogliarello (involontario) di Veronica che ha bucato il web. Insomma quanti sono i lettori del Corriere.it e della Gazzetta.it che sono fuggiti,  infastiditi per la censura, a sbirciare i capezzoli di Maya su altri siti web? Lasciateci sperare che molti, moltissimi di queste persone siano approdati sul Giornale.it, che come sempre non ha nascosto nulla, perché due tette nude in un programma di canzonette restano un dato di cronaca. E abbiano salvato  il sito del Giornale  tra i preferiti su computer, tablet  e smartphone, magari insieme a questo blog che sta per compiere 3 anni di vita.

Siamo certi che se tutti i giornali avessero mostrato, senza censura preventiva, il balletto di Veronica come abbiamo fatto noi, non solo non si sarebbero macchiati di nulla di sconveniente, ma avrebbero rispettato  la verità. Senza contare che , forse, anche una parte della  pruderie da prima serata sarebbe da rivedere se in parallelo si tollera la sinfonia di glutei e ventri che propina, quasi senza regolamentazione il web a un solo colpo di mouse e in ogni  istante del giorno. Al massimo, consentiteci la provocazione libertina ma propria di uno Stato che vuole dirsi liberale:  la Rai e i giornali chiedano un micro-pagamento a quanti desiderano vedere (e rivedere) le bellezze muliebri tradite da reggiseni e slip in occasioni ufficiali o sconvenienti. Così l’editoria in crisi recupererà qualcosa del maltolto di Facebook, Google, Yahoo! e Youtube. E, soprattutto, inizierà a infrangere la regola (nefasta) che sul web ogni pasto debba essere gratuito. Un assioma tanto assurdo per chi vive dell’informazione che vende ai lettori o spettatori, tanto quanto sarebbe per una concessionaria regalare le sue automobili o per i bancari il denaro che hanno in cassa. Da qualche parte, per cercare di rendere profittevole Internet, si deve incominciare. Pensate solo a quanto si sarebbe potuto guadagnare grazie alla farfallina tatuata di Belén Rodríguez a Sanremo.

Wall & Street

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