«Voglio ringraziarti per gli sforzi fatti fino ad ora affinché l’Europa superi la dicotomia tra austerità e crescita». Era il 21 novembre scorso e il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, dopo aver incassato nei mesi precedenti – nell’ordine – riforma dell’articolo 18, minitaglio del cuneo fiscale e minitaglio della bolletta energetica, manifestò pubblicamente il sostegno alla linea anti-austerity di Matteo Renzi in ambito europeo.

Ma quando un sodalizio si consolida (gli esordi del governo dell’ex sindaco di Firenze non furono salutati entusiasticamente da Viale dell’Astronomia), occorrono anche dei segni tangibili. e negli ultimi giorni Squinzi non ha lesinato appoggi all’«amico» Matteo. Prima ha pubblicato stime entusiastiche sugli effetti del Quantitative Easing di Mario Draghi, asserendo che la svalutazione dell’euro e i tassi bassi possono far crescere la nostra economia dell’1,8% in due anni. Poi, ha benedetto il golpe sulle Popolari («È una mossa che va nella direzione giusta», ha commentato). Infine, ha scatenato il Centro Studi di Confindustria (CsC) producendo un report congiunturale, a dir poco, encomiastico.

Ecco qua! Oggi Confindustria ci ha fatto sapere che l’effetto combinato del calo dei prezzi petroliferi, del mini-euro e del bazooka di Mario Draghi produrrà un incremento del 2,1% del Pil quest’anno e del 2,5% l’anno prossimo. I parlamentari del Pd si sono subito galvanizzati. Nessuno si sarebbe mai aspettato un simile endorsement. Nemmeno il responsabile economico dei dem, Filippo Taddei. «È la prova che la combinazione delle riforme italiane e del cambiamento della politica europea, a partire da quella monetaria, può produrre una ripartenza vera dell’economia», ha chiosato l’economista.

Wall & Street non fanno politica (è sempre bene ricordarlo), però quest’ondata di ottimismo – che con patriottismo vorremmo condividere – ci sembra francamente esagerata oltreché immotivata. Ed è per questo motivo che vi proponiamo alcune analisi sullo stesso tema.

Secondo il capo economista di Hsbc, Karen Ward, gli effetti del Quantitative Easing saranno «abbastanza limitati» non solo perché la Bce è stata l’ultima a lanciare l’iniziativa (e quindi il mercato è già sovrabbondante di liquidità immessa negli anni scorsi da Fed e Banca del Giappone), ma soprattutto perché i costi non sempre bilanciano i benefici. La svalutazione del dollaro (antecedente l’attuale flessione dell’euro che ne ha determinato una consistente ripresa) ha prodotto un abbassamento generalizzato dei salari (cioè una perdita di potere d’acquisto), aumentando al tempo stesso le pressioni inflazionistiche.

Questo grafico è la prova dell’eccesso di enfasi di Confindustria: tra le previsioni della Fed sulla crescita americana durante la politica di espansione monetaria e il reale andamento dell’economia c’è sempre stata un’evidente discrasia, che l’immissione di liquidità sul mercato non ha compensato.

Questa, invece, è la dimostrazione di quanto la politica di austerity abbia rovinato l’Europa (tranne la Germania). Nonostante l’aumento della pressione fiscale (colonne in nero), i debiti (colonna in rosso) in percentuale al Pil sono aumentati perché l’economia si è depressa. La Bce, la Commissione Ue e anche Renzi avrebbero dovuto pensare a questo. Pure Confindustria avrebbe dovuto fare mente locale. I lettori del Giornale, invece, lo sanno già.

Volete un’altra prova del renzismo di Confindustria? Goldman Sachs ha recentemente rialzato le previsioni di crescita dell’area euro per il 2015 da +1,1 a +1,2% per effetto del calo dei prezzi petroliferi. A far da contraltare a questo miglioramento ci sarà la deflazione (-0,5% atteso quest’anno). Se consentite, riteniamo Goldman Sachs ugualmente fededegna rispetto a Confindustria perché è in base a queste previsioni che la banca Usa sposta migliaia di miliardi di dollari di investimenti su cui deve necessariamente trarre profitto. Dunque l’effetto della flessione delle quotazioni del petrolio sul Pil è di +0,1 punti percentuali e non +0,6 come previsto da Viale dell’Astronomia che, dunque, ritiene che l’Italia possa crescere il doppio di Eurolandia quando negli ultimi anni ha sempre performato peggio. Speriamo di essere smentiti, ovviamente, ma il renzismo di Confindustria ci preoccupa.

Wall & Street 

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