Con la firma dell’accordo tra la Confederazione Elvetica e l’Italia sullo scambio di informazioni a fini fiscali cadrà il segreto bancario. Telegiornali, quotidiani e siti Internet ve lo ripetono da giorni. Giovedì sarà la volta di un’analoga intesa con il Granducato del Liechtenstein e anche il memorandum il Principato di Monaco è sulla buona strada. Se non avete indicato i vostri beni mobili detenuti all’estero nel quadro RW del 730 sono cavoli amari. L’Agenzia delle Entrate sarà libera di chiedere informazioni allo Stato estero con cui si è siglato l’accordo e buonanotte al secchio!

Forse quello che non sapete è che l’accordo con la Svizzera sarà pienamente operativo secondo gli standard Ocse molto probabilmente dal 2018. Per cui se i «segugi» di Rossella Orlandi non sono alle vostre calcagna, c’è ancora un po’ di tempo del quale approfittare affinché la trasmissione dei dati sulle giacenze bancarie non diventi pressoché automatica. È ovvio che rispettare la legge e pagare le tasse faccia di ciascuno di noi un buon cittadino (e anche un buon cristiano). Ma siamo sicuri che chi ha fatto del «nero» (magari affidando il contante a qualche spallone) sia così ansioso di tornare in Italia per mettersi in regola perché – senza ricorrere alla voluntary disclosure (che scade il prossimo 30 settembre) – si rischia anche la galera? Portare capitali all’estero, frutto di evasione fiscale, infatti configura il reato di autoriciclaggio.

È possibile che il classico «cumenda» lombardo si sia fatto due conti i tasca, magari assistito da uno scaltro consulente, e abbia pensato che dopo una vita a «laurà com un nègher» forse non è il caso di rimpinzare uno Stato che sperpera foraggiando ogni sorta di spreco (lavori socialmente utili inclusi). E forse il cumenda avrà seguito una delle due strade che da Lugano portano a Dubai, una delle perle degli Emirati Arabi Uniti.

  1. Compravendita di immobili. Dalla Svizzera si stipula un preliminare per l’acquisto di un immobile a Dubai. Lo si rivende in loco a una società ad hoc e il cash resta in un conto corrente nell’Emirato dove si paga solo il 15% sui dividendi in caso si decida di non tenerli esclusivamente parcheggiati.
  2. Compravendita di opere di d’arte. Funziona esattamente come il caso 1 solo che, anziché case, si compra (o si dichiara il possesso di) un quadro o una scultura di valore e poi la si riconverte immediatamente in denaro nella Penisola Arabica.

La terza strada non passa per Dubai. Il cumenda potrebbe aver costituito un trust in Nuova Zelanda (non ancora nel radar dell’Agenzia delle Entrate) oppure potrebbe aver acquistato pietre preziose (il denaro non c’è più e non c’è più la sanzione, ma riconvertirlo non sempre è un affare oltreché riproporrebbe il problema).

In ogni caso, c’è qualcuno che ha sfruttato l’occasione per fare un po’ di marketing. Guardate che pubblicità campeggia nella pagina del Corriere che oggi tratta dell’argomento! Sì, è proprio quella della compagnia aerea di Dubai.

Wall & Street

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