200306-419

Le storture di Mafia Capitale e le malefatte di Buzzi & C. lasciano un’ombra sinistra sul mondo della cooperazione e del volontariato che, in epoca di spending review, rivestono un’importanza fondamentale per l’erogazione di servizi di assistenza. Il governo ha messo mano al dossier con un ddl ad hoc che, però, lascia molti interrogativi aperti. Tutti sintetizzabili in un’unica questione: un’impresa sociale è un’azienda vera che ha come obiettivo il conseguimento di un profitto la sua funzione «sociale» richiede un surplus di intervento pubblico? Al dibattito hanno partecipato l’ex ministro Giovanna Melandri, il consigliere di Palazzo Chigi e imprenditore, Vincenzo Manes, e l’ex McKinsey Andrea Rapaccini, inventore di «Make a Change», terza via fra profit e non profit. Anche Wall & Street ritengono giusto, soprattutto oggi, partecipare a questa discussione pubblicando un intervento di Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà-Confcooperative. Vogliamo fare una scelta controcorrente ribadendo l’importanza della cooperazione sociale, un valore da preservare. Non tutte le Coop sono la «29 Giugno»: è lo spreco di danaro pubblico che, molto spesso, crea questi eccessi, questi casi di cronaca giudiziaria. Al contrario, gli investitori privati, che intendono privilegiare l’aspetto etico rispetto al puro e semplice rendimento, devono essere incoraggiati a sostenere coloro che si impegnano per migliorare le condizioni di vita dei più svantaggiati. Ecco perché nella foto qui sopra trovate i volontari dell’Unitalsi che ogni anno accompagnano malati e invalidi al Santuario di Lourdes. Gratis.

Giuseppe Guerini«Impatto sociale e investimenti nel sociale sono due temi di grande fascino, ma vanno giustamente collocati in un ordine di priorità, che vede al primo posto la capacità di aumentare la responsabilità e il coinvolgimento dei cittadini nella soluzione dei problemi che riguardano la qualità della vita, il lavoro, la cura, l’inclusione delle persone svantaggiate, la lotta alla povertà e alle diseguaglianze. Per affrontare questi problemi serve molta concretezza, molta capacità di promuovere iniziative dal basso e un lavoro quotidiano, umile e paziente. Quello che in molti casi hanno saputo fare i cooperatori sociali che, nel corso di oltre trent’anni di storia, hanno dato vita ad imprese di solidarietà sociale quando questo ossimoro veniva ancora considerato un’eresia o un utopia. La storia di queste imprese sociali ci dice che lo spirito d’iniziativa, la propensione al rischio, l’intraprendenza e la capacità di innovazione delle persone hanno un valore imprenditoriale e sociale che precede l’investimento finanziario. Le cooperative sociali si sono sviluppate senza che vi fossero investitori esterni. A riprova che un progetto imprenditoriale cresce più per le idee e le persone che per il denaro. Soprattutto quanto ci si muove in un ambito di interventi in cui il fattore umano, la relazione tra le persone e i legami fiduciari sono l’elemento principale.
Servono certamente gli investimenti per poter realizzare progetti complessi. Sappiamo benissimo che accantonare risorse senza il fine di lucro col meccanismo paziente delle riserve indivisibili delle cooperative è stato uno strumento fondamentale e coerente a fare investimenti, anche rilevanti, in settori in cui l’intensità di lavoro è sempre stata maggiore all’intensità di capitale. Ma un conto è mettere da parte il denaro sufficiente per costruire comunità alloggio per disabili, asili o servizi efficienti di gestione dell’igiene urbana, per realizzare inserimenti lavorativi, altro è impiantare un servizio sanitario residenziale, realizzare un progetto di housing sociale o un’impresa sociale nel settore delle energie rinnovabili».

«Se vogliamo sviluppare imprese sociali anche in settori emergenti, per le sfide della non autosufficienza ad esempio, occorre dotarsi della capacità di essere attrattivi per investitori interessati a mettere in gioco capitali importanti. Per questo è utile interrogarsi su come valutare l’impatto sociale di questi investimenti, proprio per mettere in evidenza come e perché l’impresa sociale sia capace di generare un valore aggiunto che non è di tipo monetario ma sociale. Tuttavia sono convinto che non si possa affrontare la questione in termini astratti o ideologici, fermandoci sulla soglia delle definizioni di investimento, impatto, innovazione sociale. In questo senso ad esempio è molto positivo che nel testo del disegno di legge approvato alla Camera si sia specificato meglio cosa si intende per impatto sociale (ovvero la «valutazione qualitativa e quantitativa sul breve, medio e lungo periodo degli effetti sulla comunità di riferimento delle attività svolte rispetto all’obiettivo individuato»)».

«Ma per essere attrattivi per investitori, che siano autenticamente interessati al bene comune, è più importante assicurare il ritorno sociale più che il profitto. Per questo sono convito che limitare in modo evidente e chiaro la remunerazione dei capitali e la ripartizione degli utili, riferendosi al meccanismo previsto per le cooperative sociali sia un’indicazione corretta. Le cooperative sociali operano prevalentemente in mercati “poveri”: assistenza sociale, tutela dei minori, inserimento lavorativo dei persone svantaggiate. Difficile immaginare che in questi settori anche le imprese sociali più virtuose, sostenute dagli investitori più munifici e condotte dai manager più capaci possano realizzare profitti e marginalità tali da remunerare investitori che non si accontentano del rendimento poco superiori ai buoni fruttiferi postali, ovvero del 5 per cento».

«L’essenza dell’impresa sociale non è data da cosa fa, ma da come coinvolge i destinatari degli interventi e un ampio numero di portatori di interesse della comunità, rendendoli responsabili e attivi nel dare risposte ai bisogni sociali di inclusione, riduzione delle diseguaglianze e affrancamento dalla povertà. Questi sono gli impatti sociali che la distinguono dal resto delle imprese e sui quali vanno dimensionate e misurate le premialità; non sono imprese migliori eticamente o moralmente, né più buone e giuste, semplicemente sono sociali perché hanno una finalità rivolta al bene comune».

Wall & Street

Tag: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,