SCIENCES-SPACE-SUPERNOVA

ὑποκεὶμενον γάρ τι καὶ ἐν ὑποκειμένῳ ἐστὶν ἡ φύσις ἀεί

«Perché la Natura è sempre un soggetto ed è sempre nel soggetto».

(Aristotele, Fisica, B, II, 192 b8)

 

La Grecia è stata la supernova del mondo classico, una gigantesca stella il cui fulgore ha illuminato la mente dell’uomo. Ai suoi filosofi dobbiamo prima l’ardire di una spiegazione del mondo (cioè della Natura) e del tempo avulsa dal pensiero teologico, poi l’invenzione del pensiero razionale e soprattutto la sua codificazione. È stata la maggiore invenzione di sempre, perché propedeutica a tutte quelle che sono state successive e finanche premessa (inconsapevole) di quelle precedenti. In ultima analisi, con una semplificazione che ci perdonerete, Atene e la Magna Grecia hanno piantato quella semente di conoscenza che, attraverso la sapienza organizzativa dei Romani, ha creato la civiltà europea. Questa “scintilla” dell’intelletto l’ha resa demiurgo, l’ha distinta da tutte le altre a lei coeve sia fiorenti (come quella egizia) sia molto arretrate e impermeabili alla sua spinta all’astrazione, ha poi accompagnato l’Occidente, attraverso la rielaborazione dell’Umanesimo, fino alle porte del ‘700; quasi gettando le premesse della rivoluzione francese e del conseguente concetto, intoccabile per noi europei, di Stato di diritto. Ai cantori greci dobbiamo poi l’Olimpo e suoi dei, l’armonia interna degli esametri e quella fantastica invenzione onirica che è il mythos, in cui ciascun uomo può ancora oggi vedere riflessi i suoi pregi e difetti, quasi fosse uno specchio d’acqua tremula al soffio del vento. Alle statue di Lisippo forse dobbiamo il miglior tentativo di cristallizzare spazio empirico e tempo nella materia.

Gli astronomi insegnano che una supernova può però collassare in un buco nero. E questo è esattamente quello che, pensiamo, sia accaduto in età moderna e contemporanea alla Grecia per errori soprattutto propri ma negli ultimi anni anche imputabili a una Unione Europea schiava del diktat della Germania di Angela Merkel, dei giochi di poltrone del Fondo monetario internazionale di Christine Lagarde e vittima delle collettivizzazione delle perdite che gli Stati Uniti sono riusciti fare, grazie alle loro agenzie di rating, per i loro mutui subprime. Il prezzo pagato dai contribuenti italiani è stato devastante, come dimostrano le macerie lasciate dalla crisi su investimenti e occupazione. Il rischio è però ora ancora più grande: sebbene i tecnici della troika parlino per Atene di un default controllato e il peso del suo pil sia risibile nella «partita doppia» di Bruxelles, un buco nero è caratterizzato da un fortissimo campo gravitazionale, che potrebbe finire per inghiottire, insieme al lume dell’intelletto ellenico, del λόγος che ha plasmato l’Occidente,  anche tutto il Vecchio continente e gli euro nei nostri portafogli. A questo punto, dopo il no di Alexis Tsipras alle condizioni pretese dal tandem Eurogruppo-Fondo Monetario internazionale «si entra in terre inesplorate». Le parole sono del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, l’unico che sta tenendo la barra a dritta anche dopo il naufragio del piano di salvataggio proposto dei creditori. Tsipras ha risposto domenica scorsa chiudendo le banche greche per una settimana, limitando a 60 euro al giorno il prelievo ai Bancomat per evitare la fuga all’estero anche dei residui capitali rimasti e andando dritto, con una certa dose di pretattica politica, al referendum, il culmine della democrazia. Così la paralisi economica di un Paese già al limite del collasso è tuttavia inevitabile: oggi resterà spenta anche la Borsa di Atene; gli altri listini europei stanno cadendo a picco a tutto danno dei piccoli investitori e dei soci stabili delle società che producono utili, li reinvestono per svilupparsi e distribuiscono dividendi.

Prima che sia troppo tardi,  converrebbe allora che la troika cercasse bene tra i suoi scaffali i volumi della Πολιτεία di Platone, la rileggesse e scegliesse il male minore: tornare al tavolo concedendo alla Grecia un piano di ristrutturazione più sostenibile, con il vincolo però di attuare riforme vere e di rispettare gli accordi una volta per tutte. Le ultime speranze sono affidate a un vertice straordinario dell’Eurogruppo nel quale Tsipras ripeterà le proposte bocciate qualche giorno fa (una moratoria sul debito in cambio di un aumento dell’Iva che salvi, però, il turismo). Forse ai greci si può concedere una ultima chance purché facciano chiarezza sul capitolo pensioni e sul lassismo fiscale, come ha sottolineato anche il premier italiano Matteo Renzi. In questo modo, potrà essere «rimborsata» quella scintilla che Atene più di 2.500 anni fa ha regalato all’Occidente nella poesia e nella speculazione. Perché un Continente come l’Europa che vuole ammantarsi di una pseudo unità politica o perlomeno di intenti, non può rinunciare alle proprie radici culturali, alla maieutica di Atene come alla Roma dei romani o dei Papi e alla Parigi di Napoleone, soprattutto se la bandiera nera del Califfato sventola alle sue porte. Poi a Bruxelles si faccia in modo che tutti i Paesi dell’Eurozona, a partire dai tedeschi, rispettino la casa comune europea senza prevaricarne le istituzioni per interessi di bottega elettorale.

 

ἄνδρα μοι ἔννεπε, μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ
πλάγχθη, ἐπεὶ Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσεν·
πολλῶν δ᾽ ἀνθρώπων ἴδεν ἄστεα καὶ νόον ἔγνω,
πολλὰ δ᾽ ὅ γ᾽ ἐν πόντῳ πάθεν ἄλγεα ὃν κατὰ θυμόν,
ἀρνύμενος ἥν τε ψυχὴν καὶ νόστον ἑταίρων.

«Musa, quell’uom di multiforme ingegno
dimmi, che molto errò, poich’ebbe a terra
gittate d’Ilïòn le sacre torri;
che città vide molte, e delle genti
l’indol conobbe; che sovr’esso il mare
molti dentro del cor sofferse affanni,
mentre a guardar la cara vita intende,
e i suoi compagni a ricondur»

 

 

HomeroiPerché, in fondo, come aveva intuito Bernardo di Chartres già nel dodicesimo secolo gli uomini del Medioevo, e quindi – aggiungiamo noi – a maggior ragione quelli moderni, sono come «nani sulle spalle di giganti», cioè i classici, affinché «possano vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del loro corpo, ma perché sono sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti». Insomma la lezione della Fisica di Aristotele, il Partenone (pur privato dei fregi che gli inglesi hanno purtroppo costretto alla nebbia di Londra), la rivoluzione dell’ἀποξυόμενος e quel «folle volo» di Ulisse sono un patrimonio non monetizzabile.

 

Wall & Street

 

—- parte due —

 

Ἀληθῆ διηγήματα

La nostra provocazione sembra aver colto nel segno. Ecco perché aggiungiamo un minuscolo paragrafo intitolato come il romanzo di Luciano di Samosata, La storia vera. Il concetto di un debito culturale incommensurabile rispetto a quello puramente monetario non rappresenta una novità. Il fatto che noi siamo ciò che siamo per merito della Grecia non è un escamotage per deresponsabilizzarla, ma per impedire che diventi nuovamente preda della barbarie come successivamente alla caduta di Costantinopoli. La Germania, culturalmente, è figlia della Grecia e così pure la Gran Bretagna: un po’ di riconoscenza non guasterebbe. Politica è anche arte del compromesso. Chi ha sostenuto tutto questo prima di noi con la sua solita veemenza? Ecco qui

Sì, è stato proprio Vittorio Sgarbi a criticare due anni fa la sudditanza psicologica all’austerity tedesca. Ma c’erano anche Wall & Street insieme a lui. Nessuno può tacciarci di conformismo europeista perché sosteniamo tesi controcorrente da tempi non sospetti. Abbiamo individuato nella Germania il principale beneficiario di queste politiche economiche quando la maggioranza di politici e operatori dei media era supina nei confronti del professor Mario Monti. Abbiamo dato voce all’eterodossia senza paura. E, invece, oggi ci toccano anche le stoccate di coloro di cui abbiamo compreso le ragioni.

Ecco, a noi un po’ è dispiaciuto. Sia perché la nostra è una provocazione economico-culturale sia perché, anche rimuovendo l’euro che sicuramente impedisce alla Grecia una svalutazione che potrebbe produrre qualche beneficio estemporaneo, non si rimuoverebbero del tutto i problemi di Atene.

Pil Grecia 2003-2013

La Grecia ha una composizione del Pil che assomiglia a quella della Gran Bretagna, ma Atene non è Londra perché non ha un mercato finanziario che compensa con le sue commissioni il deficit di produzione industriale. Per dire, il turismo rappresenta meno del 20% del Pil, il commercio marittimo arriva a stento al 6 per cento. Il resto, telecomunicazioni escluse, sono in gran parte servizi pubblici. Potete ammazzare i greci di tasse per tenerli dentro oppure farli uscire dall’euro sperando che si riprendano. Tutte e due le strade restituirebbero risultati modesti perché importazioni ed esportazioni non subirebbero variazioni tali da produrre effetti visibili. A meno che, ma si tratta di un’ipotesi da verificare, un massiccio afflusso di turisti generato dall’abbassamento dei prezzi e un maggiore utilizzo dei porti per i medesimi motivi (di qui l’interesse della Cina a sostenere Atene) non ribaltassero le attuali proporzioni. Dopodiché, perdonateci, ci mancano sistemi previsivi per valutare se l’eventuale rialzo dell’inflazione annullerebbe gli effetti del ritorno alla dracma, anche se, date le condizioni di partenza, è molto probabile (non è l’Italia, Paese nel quale l’industria beneficerebbe di una ipersvalutazione conseguente a un’uscita dall’euro).

 

 

EuroGrecia

Certo, la moneta unica non ha aiutato Atene. Il cambio fisso ha sclerotizzato un’economia già di per sé poco propensa alla produzione e ha reso insostenibile un sistema di welfare iperprotettivo che, in alcuni casi (vedi le baby-pensioni), si è trasformato in una sorta di istituzionalizzazione del privilegio. Quello che è stato fatto, ormai, è stato fatto. O, come diceva Aristotele, il passato non è oggetto di scelta. Ecco perché servirebbe un po’ di saggezza. Tanto ad Alexis Tsipras quanto a Frau Merkel cui questa volta, oggettivamente, non si possono imputare tutti mali…

 

Senza contare che, al contrario di quel processo investigativo del Mondo avviato dai filosofi greci  e della Ποίησις dei suoi lirici,  di per se stessi non misurabili, sarebbe invece monetizzabile un intervento della Russia e della Cina come sponsor del salvataggio greco. Formalmente, i primi avrebbero un passaggio sicuro per il nuovo gasdotto con cui bypassare la «nemica» Ucraina, mentre i secondi potrebbero lanciare un’Opa sul sistema portuale greco, conquistando un nuovo approdo per i loro prodotti finiti. Informalmente, Russia e Cina diventerebbero «padrone» di un pezzo importante di Occidente, con tutto quel che ne consegue per i delicati equilibri geopolitici che stiamo affrontando, come hanno sottolineato i nostri colleghi Marcello Foa e Fabrizio Ravoni.

Wall & Street

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