Bruxelles

 

L’euforia del mercato per l’accordo raggiunto a Bruxelles dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, con il commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager è durata molto poco a Piazza Affari. L’Italia, purtroppo, è molto debole in sede europea e non è riuscita a spuntare condizioni favorevoli, come si poteva prevedere nonostante le dichiarazioni ottimistiche di ieri sera. Questa mattina il Tesoro ha spiegato per filo e per segno i dettagli dell’intesa e i dubbi si sono trasformati in certezze.  Cerchiamo di sintetizzare i punti dirimenti sui quali si sono concentrate tutte le perplessità.

Innanzitutto, chiariamo che l’autorizzazione ottenuta dalla Commissione non riguarda la famosa bad bank. Non ci sarà un veicolo unico, magari a partecipazione statale, a rilevare i 201 miliardi di sofferenze delle banche italiane. Non ci sarà, pertanto, nemmeno una garanzia pubblica connessa a questa entità. Sarà possibile fare ciò che già era possibile fare, ossia creare una società ad hoc (in inglese special purpose vehicle) che comprerà le sofferenze dalle banche ed emetterà obbligazioni per finanziare quest’acquisto. I bond saranno rimborsati a fronte del recupero dei crediti e, a seconda della rischiosità, saranno suddivisi in tre tranche: senior (quelli meno rischiosi e più facilmente recuperabili), mezzanine (rischio intermedio) e junior (a serio rischio di default). Su queste emissioni si potrà chiedere – ed è questa la novità – una garanzia dello Stato. A pagamento. Ecco quali sono le regole.

  1. «Lo Stato garantirà soltanto le tranche senior delle cartolarizzazioni, cioè quelle più sicure, che sopportano per ultime le eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese. Non si potrà procedere al rimborso delle tranche più rischiose (junior e mezzanina), se non saranno prima state integralmente rimborsate le tranche senior garantite dallo Stato».  Dunque si potrà chiedere, a pagamento, una garanzia su un titolo per cui già in anticipo si sa che il rischio di mancato rimborso è minore rispetto al resto dell’emissione. Tale previsione, inoltre, sembra rendere pressoché impossibile fare confusione impacchettando i crediti dubbi fra loro: i buoni con i buoni e i cattivi con i cattivi, altrimenti sarebbe un aiuto di Stato. Vietatissimo.
  2. «Il prezzo della garanzia è di mercato, come riconosciuto anche dalla Commissione europea, che concorda sul fatto che lo schema non contempli aiuti di Stato. Il prezzo sarà calcolato prendendo come riferimento i prezzi dei CDS degli emittenti italiani con un livello di rischio corrispondente a quello dei titoli garantiti. Il prezzo sarà crescente nel tempo, sia per tenere conto dei maggiori rischi connessi a una maggiore durata delle note, sia per introdurre nello schema un forte incentivo a recuperare velocemente i crediti». Prezzi di mercato, perciò, e destinati ad aumentare. Altro che uno spread minimo come avrebbero voluto le banche italiane. Il parametro di riferimento è di quelli sui quali non si scherza: i credit default swap (Cds), già conosciuti ai tempi della crisi dello spread. Sono titoli derivati che rappresentano un’assicurazione contro l’eventuale fallimento di un emittente. Più il prezzo è alto più significa che la copertura offerta è necessaria. E i Cds sulle banche italiane, soprattutto quelle più in difficoltà, non sono a buon mercato.
  3. «Lo Stato rilascerà la garanzia solo se i titoli avranno preventivamente ottenuto un rating uguale o superiore all’Investment Grade, da un’agenzia di rating indipendente e inclusa nella lista delle agenzie accettate dalla Bce». «Investment grade» significa avere rating uguale o superiore a «BBB-» da Standard & Poor’s (o equivalente per le altre agenzie come Moody’s e Fitch), al di sotto c’è la «spazzatura». Casualmente, alcune banche italiane come Mps, Carige Banco sono junk…

Ma se un emittente ha un giudizio positivo ed è ritenuto affidabile, che convenienza ha a comperare una garanzia statale per collocare sul mercato titoli che comunque sarebbero comperati? Nessuna, a meno di una crisi di fiducia sul sistema-Italia. Che, ove mai si verificasse, travolgerebbe coloro che hanno più bisogno di aiuto. Il discorso è diverso ove mai gli istituti decidessero di rivolgersi o a partner dotati di rating investment grade per gestire le sofferenze oppure a società specializzate nelle operazioni con i non performing loans.

Serrini RiccardoÈ il caso della piattaforma Multiseller Npl, creata da Banca Akros (gruppo Bpm) con Prelios Credit Servicing.  Si tratta della prima bad bank privata italiana che consente agli istituti più piccoli di cedere portafogli di crediti di ridotta dimensione, che non avrebbero una massa sufficiente a suscitare l’interesse degli investitori internazionali, mentre alle banche medio-grandi offre la possibilità di dismettere crediti a prezzi che possono risultare superiori rispetto a quelli ottenibili con le operazioni di cartolarizzazione in virtù della collaborazione con il fondo specializzato Christofferson Robb & Company. «Con quest’operazione si mette a disposizione al sistema bancario un programma di vendita di npl prevalentemente immobiliari e corporate unsecured che, in base alla struttura e al principio della diversificazione del portafoglio sottostante, permette di scontare i flussi di cassa ad un tasso più basso del mercato. In sintesi, ai crediti viene riconosciuto un valore d’acquisto superiore rispetto al mercato», spiega Riccardo Serrini, ad di Prelios Credit Servicing. L’odierna performance negativa dei titoli bancari in Borsa conferma (sic stantibus rebus), infatti, getta numerose ombre sull’efficacia del Gacs (acronimo di «Garanzia statale sulla cartolarizzazione delle sofferenze»).

Chiaramente la preoccupazione di cittadini e risparmiatori è di non veder scaricati sulle loro tasche costi per servizi non richiesti come la risistemazione delle sofferenze bancarie (che però hanno sempre un impatto sociale elevato). Ci sentiamo di tranquillizzarli: così com’è strutturata l’operazione non dovrebbe essere particolarmente gravosa, anzi lo Stato pensa addirittura di guadagnare sulle garanzie giacché il rischio di default delle tranche senior, come detto, è molto basso. Il problema, però, resta intatto: perché si voleva costruire una bad bank che rilevasse le sofferenze? Perché gli accantonamenti e le svalutazioni per far fronte ai crediti deteriorati impediscono alle banche di erogare nuovi finanziamenti o di erogarne in misura limitata.

Il problema a monte era rappresentato dal fatto che a bilancio le sofferenze sono rappresentate a un valore compreso tra il 40 e il 50% di quello nominale, mentre il mercato le compra sempre a prezzi inferiori. Con l’aiuto di Barclays vi facciamo vedere un po’ la situazione dei principali istituti italiani.

Barclays 01

Le sofferenze (bad debts) qui sono stimate in 207 miliardi con un tasso di copertura medio del 59%, dunque molto elevato. Significa che su ogni euro di quei prestiti gli istituti contano di riaverne indietro 41 centesimi. Ma il mercato è disposto a pagare 41 centesimi? Vediamo cosa succede a seconda di quanto accaduto negli ultimi tempi.

Barclays 02

A parte soluzioni leggere come quelle adottate in Spagna, in molti casi le svalutazioni richieste per i crediti dubbi (per terminare con il bail in) richiederebbero impegni compresi tra 20 e 28 miliardi minimi che, senza un intervento statale, costringerebbero le banche a gravosi aumento di capitale. L’unica in grado di reggere lo sforzo, al momento, è Intesa Sanpaolo, l’istituto più forte e meno bisognoso di aiuti. Insomma, Bruxelles ci ha raccontato la solita barzelletta e noi ce la siamo bevuta. Certo, usare i soldi dei contribuenti per coprire gli errori di chi ha sbagliato non è giusto. Tenete però conto che le sofferenze hanno iniziato a crescere con la recessione anche a causa dell’eccesso di tasse come rimedio per mettere i conti pubblici a posto. Ma non vi preoccupate, grazie a Bruxelles resta tutto come prima…

Wall & Street

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