Palazzo Koch

 

«Il giudizio sulle nuove norme (per il bail-in delle banche; ndr) è aperto. Alla luce degli effetti degli interventi sin qui effettuati, è auspicabile da parte del legislatore, sia italiano sia europeo, una attenta rivisitazione delle modalità e dei tempi della loro attuazione, soprattutto quando le debolezze del sistema creditizio hanno natura sistemica e derivano da eventi di natura eccezionale».  Queste parole, pronunciate ieri all’Università Bocconi, da Fabio Panetta, vicedirettore generale di Bankitalia nonché componente italiano del Single Supervisory Mechanism della Bce (cioè la nuova vigilanza unica comunitaria sui grandi istituti), sono passate un po’ in sordina perché non troppo «allineate» alla vision del ministero dell’Economia e di Palazzo Chigi.

 

In pratica, l’ottimo Panetta non ha espresso contrarietà di principio a una moratoria sul bail-in, quella che anche l’economista della Chicago Booth, Luigi Zingales, temendo che una crisi di fiducia dei risparmiatori verso le banche possa ripercuotersi negativamente su tutto il sistema creditizio del nostro Paese. D’altronde, ed è questo il senso del messaggio, le banche italiane competono (e competeranno sempre più) correndo con un braccio legato dietro la spalla. «Le norme introdotte a livello europeo in risposta alla crisi finanziaria spingono verso un ridimensionamento del sistema bancario nel suo complesso. Le regole di Basilea 3 hanno innalzato i requisiti patrimoniali per le banche, limitato il grado di leva finanziaria, stabilito stringenti requisiti di liquidità». In prospettiva, «queste modifiche normative – secondo Panetta – renderanno le banche meno rischiose, dotandole di più capitale, di maggiori liquidità, di un grado di leva più basso che in passato, ma comprimeranno la redditività bancaria e lo sviluppo del sistema creditizio».  Insomma, «l’impossibilità di ricorrere alla garanzia ultima da parte del settore pubblico può generare rischi; un sistema bancario soggetto a interventi dei risparmiatori in caso di crisi può incrinare la fiducia anche verso le passività che pure il nuovo sistema normativo europeo intende tutelare». Se non vi è ben chiaro, questo significa che il bail-in per Panetta assomiglia molto a ciò che la Corazzata Potemkin rappresentava per Fantozzi.

 

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Per spiegarvi il senso delle parole di Panetta ricorriamo a questo grafico tratto da un intervento dell’Abi a un incontro con le associazioni dei consumatori. In pratica, le nuove regole di Basilea 3 costringono le banche di maggiori dimensioni ad aumentare il patrimonio di vigilanza fino al 13% degli attivi ponderati per rischio (tra i quali rientrano anche le sofferenze), quota cui si può aggiungere fino al 3% di ulteriori accantonamenti. In questo modo, come si vede nella figura, a fronte di 100 euro di patrimonio si possono concedere prestiti per soli 606 euro, mentre fino a pochi anni fa una simile disponibilità di fondi consentiva di erogare credito fino a 1.250 euro, più del doppio dei valori attuali. Ma se le banche hanno le mani legate, può bastare la sola garanzia pubblica sulla cartolarizzazione delle sofferenze a rimettere in moto il meccanismo virtuoso? Come dimostra oggi Piazza Affari, il mercato non crede che le misure intraprese siano sufficienti.

Ed è su questo punto che ha insistito Panetta. «Le nuove regole determineranno riflessi negativi sulla disponibilità di prestiti all’economia reale. I cambiamenti avvengono peraltro in un contesto europeo di persistente debolezza economica e di basso autofinanziamento delle imprese, in presenza di un ruolo limitato dei mercati. Vi sono motivi pressanti affinché il nostro sistema evolva verso una configurazione in cui i mercati svolgono un ruolo più ampio», ha detto. Occorre quindi sviluppare il mercato degli intermediari non bancari. La situazione di partenza è triste. Gli operatori specializzati nel capitale delle imprese e nei titoli di debito, secondo Panetta, «operano per lo più nei comparti a basso rischio, prevalentemente titoli pubblici e titoli di imprese grandi e con alto merito di credito. I fondi comuni azionari rappresentano per noi il 21% del patrimonio complessivo dei fondi aperti, contro il 37% in Europa. I fondi chiusi mobiliari, che investono prevalentemente in venture capital e private equity, rappresentano poco più dell’1% del patrimoni dei fondi comuni». Il contributo degli investitori istituzionali italiani al finanziamento dell’economia, ha concluso, è quindi scarso.

Che cosa si deduce da codeste osservazioni? Che la Banca d’Italia, attraverso il suo dirigente dotato di maggiore vis polemica, ha lanciato un nuovo richiamo al ministro dell’Economia Padoan dopo quelli di novembre, prima che la tensione culminasse nello scontro sul dl «salvabanche». La prima parte è nota e la possiamo sintetizzare così: «Via Nazionale è stata lasciata da sola dai governi non solo durante la definizione dei criteri degli stress test che hanno penalizzato l’Italia, ma anche in sede di definizione delle nuove regole sul bail-in: ora però non si può continuare in questa situazione di abbandono del sistema bancario a se stesso altrimenti le conseguenze le pagheranno tutti». Il secondo avviso non è meno preoccupante del primo e suona più o meno così. «se le banche potranno fare meno prestiti a causa delle nuove regole, bisogna seguire due strade: la prima è quella di avvicinare le società al mercato dei capitali e, in primo luogo alla Borsa, perché possano reperire risorse, mentre la seconda è quella di rilanciare il mercato dei fondi comuni e delle assicurazioni». Ma se questi ultimi sono oberati dalle tasse sui capital gain e sulla rivalutazione delle riserve, sarà molto difficile che smettano di investire in titoli di Stato che godono di un carico fiscale di vantaggio. Il sistema rischia di avvitarsi, Bankitalia sta cercando di evitarlo (pur non essendo esente da qualche responsabilità come nel caso Etruria) combattendo una guerra silenziosa. A volte, anche contro i palazzi della politica.

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