Renzi Confindustria

 

Questa volta non sono i gufi a insidiare la tranquillità e la decisa azione riformatrice del premier Matteo Renzi! Una benevola aquila, infatti, gli si è posata sulle spalle e mostra di condividere il percorso tracciato dal presidente del Consiglio in materia di politica economica. Si tratta del rapace che simboleggia Confindustria. Oggi, infatti, il Centro studi di Viale dell’Astronomia ha pubblicato una sapida nota intitolata «Conti pubblici più flessibili per sostenere le riforme»  che sembra dare ragione in tutto e per tutto alle istanze del capo del governo.

Sia ben chiaro: il nostro blog non fa politica, anche se spesso ci accade di criticare coloro che siedono nei posti di responsabilità prendendo di fatto posizioni che potrebbero sembrare politiche ma che si riferiscono a valutazioni il più possibile di natura tecnica. Ecco perché vogliamo preventivamente sgomberare il campo da eventuali illazioni: Confindustria legittimamente sostiene le posizioni che ritiene più vantaggiose per i propri associati. Evidentemente, in questo frangente le istanze renziane potrebbero rivelarsi condivisibili. Vediamo perché.

Come sottolineano il direttore del Centro Studi, Luca Paolazzi, e Alessandro Fontana, «l’attuale clausola permette, per un anno, una deviazione dall’obiettivo di deficit previsto nella misura massima dello 0,5% del Pil (circa 8 miliardi di euro per l’Italia), qualora si realizzino riforme strutturali che siano rilevanti, abbiano un impatto positivo di lungo periodo sulla crescita del Pil e sulla sostenibilità della finanza pubblica e non comportino lo sforamento del tetto del 3% del rapporto deficit/Pil (per poter chiedere la flessibilità un paese non deve essere sotto procedura per deficit eccessivo)». Clausole di flessibilità sulle quali Renzi e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, hanno costruito la manovra 2016, prendendosi anche uno 0,3% in più legato alla questione migranti. Ora gli esperti ci ricordano che «tale deviazione deve essere compensata nei tre anni successivi a quello nel quale si è chiesto l’utilizzo della clausola». Insomma, la flessibilità non è gratis, è un prestito che va rimborsato. Basta ricordare le parole recenti del governatore della Bce, Mario Draghi, attraverso il Bollettino economico. Secondo le informazioni disponibili, sottolinea la pubblicazione, in Italia «quest’anno vi sarebbe il rischio di un significativo scostamento dai requisiti del braccio preventivo, anche qualora si decidesse in primavera di accordare maggiore flessibilità al Paese».

CsC 01Insomma, siamo alla vigilia di una manovra (poco importa se sarà «correttiva», incidendo sui saldi dell’anno in corso, oppure no concentrandosi sul 2017). Le difficoltà trapelate nella messa a punto del Def sembrerebbero confermare che il compito non sia affatto facile: eco perché negli ultimi tempi si è tornati a parlare di privatizzazioni tramite il collocamento di una nuova tranche di azioni Poste Italiane e l’Ipo di Enav. Briciole rispetto alle esigenze della finanza pubblica. Come si vede nel grafico pubblicato dal Centro Studi Confindustria per l’anno prossimo servirebbe una correzione da 1,4 punti di Pil, cioè da 22,5 miliardi di euro circa anche a causa di 15 miliardi di clausole di salvaguardia su Iva e accise che vanno a scadenza. Considerate le spese che devono essere finanziate ci si avvierebbe verso una manovra monstre superiore ai 40 miliardi di euro.

CsC02Invece Confindustria mostra di avere fiducia nell’azione riformatrice del premier ricordando che la stessa Ocse all’inizio del 2015 aveva plaudito allo sforzo renziano sottolineando che l’impatto positivo sulla crescita avrebbe potuto rappresentare fino a uno 0,6% di Pil in più ogni anno. Ottimismo esagerato? Eccesso di confidenza? Diciamo pure che, considerato lo scenario molto difficile all’interno del quale ci stiamo purtroppo muovendo (caratterizzato da una pericolosa deflazione), anche se quelle ipotesi si rivelassero valide, difficilmente l’impatto delle riforme sul Pil potrebbe avere quella portata.

Al nostro premier (e a Confindustria) piace invece pensare che sia la politica della Commissione Ue a essere sbagliata e a pretendere un’inutile austerità.  Indubbiamente l’esecutivo di Bruxelles risente troppo dell’influenza tedesca. La cancelliera Angela Merkel e i suoi consiglieri sono guidati da una precisa teoria economica che si chiama ordoliberalismo: l’economia di mercato si coniuga con il rispetto di regole ferree, cioè disciplina di bilancio. Secondo la visione di Berlino, un evento negativo è solo colpa di un errore umano, di un comportamento poco virtuoso, di qui la sfilza di compiti a casa richiesti ai Paesi europei meno diligenti. Le crisi, però, possono essere determinate anche da recessioni più o meno prolungate come quella che stiamo vivendo. L’inversione di tendenza, dopo anni di decrescita, è ancora troppo debole e una stretta fiscale a suon di tasse potrebbe comprometterla definitivamente: ecco perché Renzi & C. chiedono all’Europa più flessibilità. «Se davvero si vuole favorire la realizzazione delle riforme, soprattutto nei paesi che ne hanno più bisogno e che ne trarrebbero i maggiori benefici, che sono anche quelli con i maggiori vincoli di bilancio, occorre flessibilizzare l’ammontare massimo della deviazione e prevedere tempi di rientro più lunghi», scrivono Paolazzi e Fontana.

Perdonateci, infine, una piccola osservazione. L’Italia avrebbe potuto anche essere più attenta. Il bonus da 80 euro che costa 10 miliardi all’anno, le assunzioni nel comparto scuola che forse si potevano evitare, il ritardo nella spending review sono tutti fattori che hanno contribuito ad accrescere il deficit/Pil sebbene mantenendolo sotto la soglia del 3 per cento. E ora l’Italia, nonostante un debito da 2.200 miliardi di euro, vorrebbe continuare a spendere. Comprenderete, pur non condividendola, la diffidenza della Germania e della Commissione Ue. È chiaro che la prossima volta se Renzi vorrà avere i conti in regola senza aumentare visibilmente le tasse non potrà far alto che metter mano alle tax expenditures (detrazioni, deduzioni, esenzioni e bonus vari) che, come certificato dalla Corte dei Conti, sono 799 e valgono 313 miliardi. Tra queste – oltre alle detrazioni per figli a carico e spese sanitarie – ci sono molte agevolazioni per il comparto industriale. Forse con la sua nota Confindustria ha solo voluto mettere le mani avanti…

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