Gay: Pisapia sul palco a fine manifestazione a Milano

La questione del rispetto nei confronti della minoranza LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) è puntuale occasione per strumentalizzazioni politiche di varia natura. Sta alla coscienza (nonché alle intime convinzioni, anche religiose) di ognuno di noi valutare la legittimità o meno delle richieste che questa comunità muove da tempo. Un discorso diverso, invece, è valutare la portata economica del rispetto e della tolleranza in ambito aziendale. Grazie a un recente studio di Credit Suisse tutto questo è possibile.

LGBT06 Innanzitutto, va detto che solo in Occidente i diritti LGBT sono riconosciuti anche se non universalmente (Paesi in verde, inclusa anche l’Italia cui, però, mancano specifiche norme di legge). Cina, Russia e India, invece, non hanno preso nessuna posizione, mentre altrove l’omosessualità è vietata perché confligge con le leggi religiose dei Paesi a maggioranza islamica (in rosso). Dunque, il discorso che affronteremo riguarda fondamentalmente l’Occidente.

E anche l’Occidente sembra dover fare i conti con se stesso visto che Tim Cook, il numero uno di Apple, è l’unico top manager omosessuale dichiarato. Anche nei Paesi più evoluti da questo punto di vista come Stati Uniti e Gran Bretagna, gay, lesbiche e transgender hanno qualche remora a dichiarare il loro orientamento sessuale per timore che le aziende possano negare loro una promozione, un aumento, un bonus. Ecco perché Credit Suisse ha predisposto un paniere di 270 titoli quotati (LGBT 270), rappresentativi di società americane, europee e australiane che non solo non discriminano ma adottano politiche inclusive sia verso i gay (con la reversibilità dei piani previdenziali nei confronti dei partner) sia verso i transgender, impegnandosi inoltre nei confronti di tutta questa comunità. Si tratta, soprattutto, di aziende che producono e vendono beni di consumo, di compagnie hi-tech e di società farmaceutiche e della cosmetica. Scarseggiano invece i titoli industriali classici.

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Non poca sorpresa desta il fatto che negli ultimi sei anni le aziende dell’LGBT 270 si siano comportate in Borsa molto meglio rispetti al benchmark del’indice Msci globale. Il ritorno medio sul capitale investito è del 6,4% a fronte del 5% del’Msci Acwi. Un andamento analogo a quello dell’indice relativo alle aziende che vedono una sostanziale parità di genere uomini-donne nei posti di comando. Il motivo è presto spiegato.

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Le imprese che rispettano maggiormente la comunità LGBT producono più utili e soprattutto…

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queste imprese hanno meno leva finanziaria, cioè meno debito rispetto alle altre. Il dividend payout è più basso di quello della concorrenza. Probabilmente la causa è nella presenza di molte hi-tech che tendono a reinvestire gli utili nella crescita.

Il vantaggio competitivo

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Le società che adottano questo tipo di politiche nei confronti del personale, ovviamente, le usano anche come strumento pubblicitario e di marketing. Il pubblico dei consumatori LGBT prova, generalmente, un’istintiva simpatia nei confronti dei prodotti di queste società e non pochi finiscono con l’acquistarli. La comunità LGBT dei Paesi occidentali, come si vede dal grafico sopra, dispone di un potere d’acquisto di 3.700 miliardi di dollari, equivalente al Pil del Germania. Non meno importante è il risparmio a livello di gestione del personale. Gli impiegati LGBT di queste aziende tenderanno a essere più fidelizzati e non fuggiranno verso altri impieghi, perciò meno spese per le buonuscite e meno spese per la formazione del nuovo personale. Insomma, per le aziende avere un amico gay conviene.

Wall & Street

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