Roberto Napoletano (LaPresse)In questo post, a dispetto del titolo, non si parlerà di Luigi XIV, meglio noto come il «Re Sole», incarnazione dell’assolutismo monarchico ancien régime. Parleremo dell’assai più prosaico Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 Ore in aspettativa non pagata per i prossimi sei mesi e indagato dalla Procura di Milano per false comunicazioni sociali in quanto ritenuto «manager di fatto» del gruppo editoriale che fa capo a Confindustria. Poiché i lettori del Giornale conoscono bene la storia in quanto fedelmente raccontata dal capo redattore dell’Economia, Marcello Zacché, non è necessario aggiungere molto altro se non il fatto che da sei anni le pagine del quotidiano raccontano come l’editoriale abbia progressivamente bruciato la cassa della quotazione (300 milioni) e di come si sia aspettato fino all’ultimo per la necessaria iniezione di capitale in quanto Confindustria in questi anni è stata lacerata da lotte di potere interne che non solo le hanno reso impossibile la gestione al meglio della controllata «di famiglia», ma di fatto l’hanno portata a scomparire dai radar della politica nei quali sono rientrati brevemente solo in occasione dell’appoggio incondizionato al referendum di Matteo Renzi.

Esprimiamo ancora una volta la nostra personale solidarietà ai colleghi del gruppo editoriale del Sole 24 Ore che da anni denunciano lo «sfacelo» della propria azienda invocando una discontinuità gestionale (realmente concretatasi con il ritorno ad interim di Guido Gentili alla direzione del quotidiano) che simboleggiasse la presa d’atto di una situazione in cui i redattori sono stati costretti a dolorosi sacrifici sul piano economico (con i contratti di solidarietà) a fronte di un turnaround mai raggiunto. Detto questo, c’è da compiere un ulteriore passo avanti: nell’ultima settimana si sono moltiplicate le prese di posizione contro Napoletano. Da una parte è emersa una scrittura privata (la cui validità è decaduta per rinuncia dello stesso Napoletano) su una maxibuonuscita in caso di licenziamento o cambiamento di compagine azionaria. In seconda battuta è giunto un attacco sui fringe benefits concessi al direttore, ritenuti troppo costosi per una società in evidente crisi. Ed è su questo punto che vogliamo progredire separando la figura del manager (reale o presunto) dall’individuo che, una volta decaduto dalla sua posizione, diventa bersaglio degli strali dei sottoposti che, salvo poche eccezioni, approfittano del momento per maramaldeggiare. Insomma, vogliamo parlare ancora una volta del potere.

E per farlo ripartiamo dal punto nel quale ci eravamo fermati l’ultima volta che avevamo affrontato l’argomento: il potere ha come unico scopo quello di conservarsi e di autoriprodursi. Generalmente siamo troppo abituati, soprattutto per formazione culturale, a pensare che vi sia una finalità e, perciò, una causa in tutto quello che osserviamo e che viviamo. Non è così, soprattutto quando parliamo del potere: esso, che si tratti di politica o di finanza, è pura identità. Se noi ci convinciamo che il capo di un’azienda o di un’organizzazione debba essere determinato a perseguire il bene generale (la crescita dell’azienda, la soddisfazione del maggior numero di cittadini, ecc.), siamo indubbiamente in  errore. Chi ha una qualunque posizione di potere deve innanzitutto pensare a come confermarla. Dunque non sorprende che Napoletano, insediato al quotidiano confindustriale da Emma Marcegaglia, confermato da Giorgio Squinzi e poi da Vincenzo Boccia, abbia pensato, tra le altre cose, di consolidare il proprio ruolo, al di là di quelle che poi possono essere le ipotesi investigative.
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Quella che vedete qui sopra è la mappa della Toscana: in un raggio di 80 chilometri da Rignano sull’Arno, paese natale di Matteo Renzi, si trovano le città di provenienza o di ambito lavorativo di ben sette esponenti nominati dal ministero dell’economia nelle società quotate a partecipazione pubblica. Ne abbiamo parlato oggi sul Giornale. «Che c’entra?», direte voi. C’entra, c’entra: Renzi, per consolidare il proprio ruolo politico, si è affidato a persone di provata fiducia che hanno precedentemente collaborato con lui e che gli possano garantire la massima spinta nel momento in cui si ricandida alla guida del Pd e del Paese. Ci sono manager che meritavano la riconferma come Mauro Moretti a Leonardo e Francesco Caio a Poste, ma per il potere la qualità dei risultati è secondaria rispetto al proprio obiettivo principale. Ne volete una prova?

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Eccola qui! Parliamo di due manager del passato: Corrado Passera ed Enrico Bondi. Il primo è stato l’artefice della crescita di Intesa Sanpaolo, messa al riparo dai marosi della crisi da spread con un aumento di capitale «preventivo» da 5 miliardi nella primavera del 2011. Il secondo ha fama di risanatore: da Montedison fino a Parmalat. Bravi bravissimi, per carità! E però c’è anche da dire che Passera non sarebbe mai durato quasi dieci anni al vertice di Ca’ de Sass se non fosse sempre andato d’accordo con Giovanni Bazoli e con tutta la compagine azionaria dell’istituto di credito. Lo stesso dicasi di Bondi, ottimo dirigente. Ma, ci sia lecita la domanda, sarebbe riuscito nella sua impresa se non fosse riuscito ad allacciare un rapporto di fiducia con Mediobanca sin dai tempi di Enrico Cuccia? Anche quando le azioni individuali sono rivolte al bene il potere ha bisogno di una sponda.

Papa Francesco (LaPresse)

Un altro esempio? Pensate a un modello di santità vivente: papa Francesco. Non c’è nulla in lui che non ispiri bontà e buoni sentimenti. E, tuttavia, papa Francesco è uomo di potere. Certo, l’ostentazione della propria forza è minima perché della povertà ha sempre fatto la cifra del suo ministero. È noto, però, che il dissenso rispetto alle indicazioni che egli impartisce alla Chiesa non è propriamente tollerato. E non potrebbe essere altrimenti: è il capo assoluto della Chiesa e gli si deve innanzitutto obbedienza. Lo sanno bene alcuni cardinali che non condividono le sue vedute.

 

Happy Days

Chi pensa che il mondo assomigli a Happy Days è purtroppo destinato a vivere male. L’esempio non è casuale: il popolare telefilm americano si svolgeva in un’America pacificata tra la fine della Guerra di Corea e l’inizio di quella del Vietnam nella quale le aspettative individuali, anche per via della crescita economica, erano destinate a essere soddisfatte. Oggi viviamo in un mondo molto più crudele.

L’intero apparato della coscienza è un apparato per astrarre e semplificare – non orientato verso la conoscenza, ma verso il dominio delle cose.

Ci possiamo accontentare di Nietzsche? Basta ricondurre tutto il discorso sul potere a una semplice teoria e prassi del dominio per chiudere la partita? Pensate che vogliamo giustificare comportamenti discutibili dal punto di vista etico? Niente di tutto questo. Però vogliamo approfondire.

Ovviamente non è questa la sede per parlare di diritto naturale e di diritto positivo. Ricordiamo, però, che l‘economia e la finanza soggiacciono a un complesso di leggi, non ultime quelle della fisica. E la condizione delle cose non è l’ordine, bensì il caos come ci insegna persino la termodinamica. L’intelligenza umana riesce talvolta a ordinare il caos: pensate a un motore a scoppio o a una trasmissione televisiva nel senso dell’invio di un segnale audio e video. Anche la politica e l’economia riescono a sfuggire al caos, all’anarchia, ma per compiere questo passaggio si presuppone la creazione di un potere che da costituente diventa costituito. Mentre il potere costituente assomiglia a quello assoluto del Re Sole, quello costituito è quello che sperimentiamo ogni giorno attraverso l’applicazione delle leggi scritte e non scritte. Il passaggio di cui sopra, però, non è indolore e lo spiega molto bene la parola tedesca Gewalt che significa al tempo stesso «potere», «vigenza, dominio» e «violenza». Non a caso, lo stesso potere costituito – per evitare che si ricrei il caos – ricorre all’emergenza, allo stato di necessità per conservarsi (anche sotto forma di democrazia). Non ci credete? Pensate ai decreti legge. Sono norme che hanno valore di legge immediatamente applicabili che il governo emana per motivi di necessità e urgenza. ormai hanno preso il sopravvento sulla stessa funzione legislativa del Parlamento e quando un governo non governa con i decreti, lo fa con i disegni di legge, che sono le proposte di legge del governo stesso. E quindi il governo, nonostante abbia compiti di indirizzo politico e di amministrazione, diventa esso stesso potere legislativo nell’ambito della stessa democrazia. E questo accade tanto nelle repubbliche parlamentari quanto, come noto, in quelle presidenziali. Ecco perché da liberali non ci stupiamo del vostro stupore. E perciò rilanciamo, dopo Nietzsche, il «cattivo maestro» per eccellenza: Toni Negri.

Non c’è un processo costituzionale – c’è solo il processo dei soggetti costitutivi.

Dove ci porta questa analisi? A quello che diceva mio nonno a mio padre: «O studi o vai a lavorare!». E questo non perché, come abbiamo visto, lo studio o la competenza possano equivalere a una sicura affermazione della propria personalità (può accadere, purtroppo, il contrario), ma perché è lo studio che sottrae alla sottomissione culturale o, quanto meno, al qualunquismo Grillo-style.

Gian Maria De Francesco per Wall & Street

 

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