La sconfitta di Donald Trump sulla riforma sanitaria (l’abolizione del costoso Obamacare è stata impedita dagli stessi repubblicani che in teoria dovrebbero sostenere l’inquilino della Casa Bianca) impone necessariamente una riflessione su Washington. Oltre alla revisione del sistema sanitario, il programma di Trump comprende anche la riforma delle leggi fiscali, la riduzione della regolamentazione finanziaria e l’aumento della spesa per le infrastrutture. «Risolvere anche solo uno solo di questi complessi problemi in un anno è un’impresa difficile, trovare una soluzione per tutti la renderebbe addirittura titanica», sottolinea Libby Cantrill di Pimco, rimarcando come il presidente Usa sin dall’insediamento abbia puntato su cambiamenti rapidi.

Ecco perché con Fabio Accinelli, esperto di diritto dei mercati, ricordiamo i capisaldi della Trumpnomics che, per il momento, è il maggior annuncio di cambiamento degli ultimi tempi.

ECONOMIA: Rilancio della crescita al 3% con una deregulation attivata su un piano bipartisan che permetta al Congresso di approvare una legge per realizzare 1.000 miliardi di dollari di infrastrutture, attraverso investimenti pubblici e privati, contribuendo a creare milioni di posti di lavoro. «Con l’accordo Nafta, istituito con Messico e Canada, gli Usa hanno perso oltre il 25% della forza occupazione nell’industria», ha ricordato il presidente.

FISCO: nuova legislazione sulle imposte, abbassando le aliquote fiscali per le famiglie e portando quelle delle imprese dall’attuale 35% al 20.

COMMERCIO: ridiscutere tutti gli accordi commerciali. Sarebbe inoltre allo studio la possibilità di derogare all’accordo Wto in modo tale da poter imporre con maggior facilità sanzioni contro Paesi con i quali l’interscambio si riveli dannoso per l’America.

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«Il “personaggio” Trump continua a suscitare grande perplessità presso gli osservatori, ma in realtà la sua “imprevedibilità” è un rischio temperato dalle modalità operative del neopresidente, molto meno inefficienti di quanto non sembri», spiega Didier Saint-Georges, managing director di Carmignac. Donald Trump, aggiunge, «persegue una forma abbastanza primitiva ma coerente di mercantilismo, che fa dello Stato l’attore determinante nel servire gli interessi dell’economia americana e del risanamento della bilancia commerciale». Con questa premessa, l’orientamento delle iniziative economiche diventa abbastanza leggibile, per gli Stati Uniti e per i loro partner commerciali. «Il loro impatto peraltro sarà contenuto dal controllo che esercita un Congresso decisamente conservatore sulle principali questioni fiscali e di bilancio», osserva Saint-Georges.  L’indicatore di fiducia dei consumatori dal 9 novembre, giorno successivo all’election day, punta decisamente verso l’alto. Ma, dato ancora più significativo per gli investimenti, l’indice di ottimismo delle aziende di medie dimensioni dopo la vittoria di Donald Trump si è impennato raggiungendo i livelli più alti dal 2004. A conferma del ritorno degli animal spirits del capitalismo, i risultati delle aziende statunitensi nell’ultimo trimestre 2016 hanno segnato un rialzo medio del 5%, una performance che nei due terzi dei casi supera le previsioni degli analisti.

Reagan-Bush«Senza ombra di dubbio in Trump si è vista finalmente la mano ferma di Reagan e la visione economico-politica del vecchio Bush», commenta Fabio Accinelli.  E proprio come fece Ronald Reagan a suo tempo, l’inesperienza di Donald Trump su tematiche rilevanti lo ha costretto a circondarsi di professionisti estremamente abili. «Con lui, per certi versi, si tornerà indietro di decenni su molti fronti: basti pensare allo stop imposto ai trattati internazionali del commercio quali l’accordo Trans-Pacifico, Ttip e del Nafta, all’insegna di un rigido protezionismo», argomenta Accinelli ricordando che già oggi i dazi doganali americani a protezione del loro mercato interno sono di gran lunga più alti di quelli medi europei e i sussidi Usa alla produzione interna sono concessi sempre con maggior vigore proprio per rafforzare la posizione americana nel mercato globale.

Wall Street (Reuters)

Il trend macroeconomico è migliore del previsto sia negli Stati Uniti che in Europa: si registra un aumento consistente della crescita e dell’inflazione a livello globale. «Gli Usa daranno un contributo maggiore all’economia mondiale con un tasso di crescita maggiore del 2% ed un obiettivo di inflazione fissato dalla Federal Riserve pari al 2%», rimarca Accinelli. La Fed ha rialzato i tassi questo mese di un quarto di punto (a 0,75-1,00%), vista l’inflazione in salita (+2,2% la core a febbraio). Il tasso interbancario è già all’1,15 per cento. Il sentiero dei prossimi ritocchi sarà graduale e dipendente dai dati: le minute Fed indicano tassi a 1,25-1,50% entro fine anno, 2,00-2,25% entro fine 2018. Durante tale periodo la banca centrale Usa cesserà di reinvestire in nuovi titoli le somme incassate da quelli che scadono (4.248 miliardi di dollari lo stock a marzo). La media a tre mesi degli ordini di beni capitali (al netto di difesa e aerei) americani hanno segnato un +0,8% congiunturale a gennaio, dopo il +1% segnato a  dicembre. I nuovi cantieri residenziali hanno registrato un aumento del 3% a febbraio. «Se non fosse per la percezione del rischio politico in Europa che comprime i rendimenti dei titoli di Stato rifugio e tiene in allarme le banche centrali, i tassi a dieci anni degli Stati Uniti (oggi a 2,46%) e della Germania (oggi a 0,30%) sarebbero ben più alti», ha chiosato Didier Saint-Georges riferendosi a una ripresa della corsa dell’inflazione a livello globale. Poiché gli annunciati rialzi dei tassi Usa determineranno un maggiore afflusso di capitali verso gli Stati Uniti è probabile un rafforzamento del dollaro. «Trump – rileva Accinelli – è nelle condizioni di assegnare un ”prezzo” al futuro del mondo (Wall Street ha guadagnato 3.000 miliardi di dollari dalla sua elezione) costringendo gli altri Paesi sviluppati ad adeguarsi a questa politica per evitare una destabilizzazione, in primo luogo del quadro valutario».

Per realizzare il proprio programma Donald Trump avrà bisogno che otto senatori democratici si schierino, di volta in volta, con i repubblicani. A breve inizierà la campagna elettorale che vedrà dieci senatori democratici a caccia della loro rielezione di metà mandato scadente nel 2018 quando vi sarà il rinnovo dell’intera Camera dei Deputati e di un un terzo del Senato. Si opporranno ciecamente a un presidente sempre più determinato a garantire sviluppo e benessere all’intero Paese? Solo il tempo ce lo dirà.

Wall & Street

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