Lunedì 16 marzo 2015 – Sant’Eriberto – Redazione SUD, canale 656 dt – Area industriale Porto Gioia Tauro

maternità(Ritratto di famiglia in un interno?)

 

 

 

 

E ci risiamo! Tu vivi la tua vita con rispetto e devozione, spendi le tue ore per cercare di stare bene, fare le cose che ti piacciono e farle al meglio, amare i tuoi Cari, cercare di renderli felici. Ti impegni per essere un buon amico, un buon collega di lavoro, un buon vicino di casa, un buon cittadino. Se ti va bene crei un’attività, la esporti nel mondo. Dai lavoro a migliaia di persone. Diventi più Italia nel mondo di quanto non ce ne fosse prima. Ti affermi. Abbracci una croce. Magari, ti tocca pure liberarti da accuse, infamie, menzogne. Accendi luci nuove e nitide quanto la luna piena e il solleone. Non basta.

Devi restare muto, per piacere a tutti. E nemmeno allora…

Ci sarebbe sempre qualcuno che storcerebbe il naso. Infatti, mentre tu, convinto che la libertà serva ancora a qualcosa, dici la tua su una delle mille e mille sfaccettature dell’animo umano, devi aspettarti i gendarmi alla porta perché a un quaquaracquà qualsiasi non sei piaciuto a tal punto da farti arrestare o esporre alla pubblica gogna.

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Conobbi casualmente nell’inverno 2009/2010 Domenico Dolce. Fui Suo ospite ad una cena intima fra amici al Bolognese, a Piazza del Popolo. Il Suo fidanzato ed io avevamo cari amici in comune. Ci invitò tutti a cena. Io ci andai col mio nuovo compagno. Fu una serata molto gradevole. Che non si ripeté per ovvi impegni di tutti noi. Ne resta un bellissimo ricordo di una persona semplice, dal denso sentore di zagara, pur indossato con la discrezione di una viola da sottobosco. Timido e molto premuroso, lo trovai. Quasi materno. Mi sentii, per qualche istante, esautorato da un impegno che, per mia indole, indosso ancora in automatico.

Ricordo che quella notte, tornando a casa col mio giovane compagno, riflettevo sulla signorilità di Dolce e sul senso di benessere che aveva lasciato l’averlo incontrato. In lui, avevo ritrovato il mio stesso modo, ironico e familiare, di essere frocio senza tessera e bandiera. Amante degli affetti domestici, delle radici, dei suoni e dei colori della terra natìa, della storia personale e della genuinità della provincia. Lineare, ma incisiva.

Riconosco queste caratteristiche precise in ogni abito che firma, in ogni goccia di profumo. Perfino nella patriarcale cintura per i pantaloni, spaventosa e sensuale al tempo stesso.

Non mi scandalizza che Dolce, e con Lui, Gabbana, abbia voluto ribadire che l’unica famiglia in quanto tale sia quella a cui ci ha abituato la tetta di mamma, l’odore di latte e sudore estivo che emana dai reggipetti di cotone senza ferretto, quel profumo di minestrina della sera che incolla a casa i più restii.

La famiglia dove “Stasera, quando viene papà…” E anche “Chiedi scusa a tua madre… E non farlo mai più…”

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Siamo nati così, da un abbraccio fra un uomo e una donna, che amiamo. E siamo anche venuti su bene. E, volendo, anche serenamente omosessuali. Quindi, vuol dire che, con il giusto impegno, quella naturale continui ad essere la strada giusta per tutto.

Resto, dunque, della mia idea, ed è la stessa dei due stilisti (oggi sono confortato da cotanta buona compagnia), a proposito del matrimonio e della famiglia. Marito/Moglie – Papà/Mamma. Figure imprescindibili per la concezione, la creazione, la nascita e l’educazione di nuova vita. E, confesso, non capisco la gogna contro Dolce e Gabbana e, anzi, trovo volgare intervenire su una pubblica intervista, chiara, elegante e assolutamente rispettosa di tutti. Ma tant’è: se non sei omologato, il sindacato gay si sente aggredito nelle proprie debolezze e cerca di azzannare. Invano.

Sulla bambinata, poi, del boicottaggio, vorrei ricordare che Barilla e le sue paste stanno benissimo e ringraziano l’intelligenza degli italiani, e che ogni tentativo di boicottaggio nei confronti della Russia di Putin non è arrivato alle agenzie di viaggio, sempre stracariche di prenotazioni per Mosca e San Pietroburgo. I blablabla di qualche sparuto plotoncino di forsennat* non impressiona nessuno. Tanto, nell’intramontabile bailamme consumistico mondiale, un sibilo viperino o uno strillo aquilino  del gay social people più permaloso si perdono fra i dlen dlon dei centri commerciali aperti h24.

Con buona pace di Elton John, Courtney Love, Ricky Martin, e di quel mio ex amico che educa il bambino, concepito in vitro, raccontandogli le fiabe da cui “depenna” le mamme…

Fra me e me. “Vedovo” di mio Padre e “Padre” di mia Madre. Perché in Natura, spesso, accade.

 

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