La sveglia continua a suonare, sempre più forte, ma l’auto non ne vuole pro­prio sapere di svegliarsi. Dor­me profondamente da anni, con il rischio che dal sonno pro­fondo passi al coma irreversibi­le. E se prima i sogni erano posi­tivi e spesso si tramutavano in realtà – grazie alle vendite da record che il «sistema» riusciva a ga­rantire attraverso iniezioni di «chilometri zero» e vendite in blocco agli autonoleggi, così da assicu­rarsi i numeri- ora la «droga», che continua a esse­re metodicamente somministrata, non basta più. Da adesso in poi tutto non sarà più come prima. E neppure eventuali, ma ormai di fatto impossibi­li nuovi incentivi a pioggia, riuscirebbero a risolle­vare il mercato, a svegliare dal lunghissimo son­no il paziente in stato comatoso.
Le avvisaglie della crisi, arrivate puntuali dopo il crac Lehman Brothers, sono state sottovaluta­te: forse i costruttori europei di automobili ritene­vano che lo tsunami che aveva travolto le «Big Three» americane, in particolare General Motors e Chrysler, nell’attraversare l’Atlantico perdesse gradualmente potenza. Purtroppo non è stato co­sì. Anche l’Europa è stata travolta dalla crisi e gli effetti della recessione hanno messo in ginocchio il mercato dell’auto.L’Italia,in proposito,è il Pae­se che più di altri ne sta subendo le conseguenze. Le vendite di automobili sono tornate ai livelli di una quarantina di anni fa e i consumi, in genera­le, segneranno nel 2012 il calo più pesante dal 1946.
A furia di dormire sugli allori,senza un’incisiva azione di lobby capace di far valere le proprie ra­gioni, e senza più una Fiat a fungere da locomoti­va nel momento in cui era necessario picchiare i pugni sul tavolo, il settore automobilistico italia­no si è via via depotenziato al suo interno, no­nostante l’indubbio peso sull’economia e l’occupazione del Paese.
Che cosa bisognava fare? Più che guar­dare e attendere i soliti incentivi, finendo poi in overdose, e limitarsi a progetti e co­municati, restando ancorati all’allora pre­sente, sarebbe stato opportuno essere più lungimiranti: per capire, e quindi interpre­tare, quello che sarebbe potuto accadere negli anni successivi a livello di tendenze (i giovani che non hanno più la macchina come priori­tà, per esempio) e prepararsi alla guerra che da lì a poco amministrazioni locali e ambientalisti «a senso unico» avrebbe­ro scatenato contro il settore ( in questo caso non basta avere come uniche ar­mi le auto elettriche).
Ecco,allora, che l’auto, priva di di­fese, è diventata il capro espiatorio di tutti (o quasi) i mali, il contenitore sempre aperto nel quale finiscono le tasse per ogni situazione. Ci sono stati in passato tavoli, summit e fac­cia- a-faccia con ministri e sottose­gretari dei vari schieramenti. I risul­tati sono qui da vedere: la benzina ha sfondato il tetto dei 2 euro; la Rc è sempre cara; c’è l’Ipt; il superbollo sulle vetture più potenti ha distrutto il mercato nazionale del lusso, nel senso che entro i nostri confini non si vendono più supercar e ammiraglie; a guidare un Suv (ma poi chi ce l’ha con i Suv sa esattamente di cosa si sta parlan­do?) ci si sente ingiustamente in colpa e, se la macchina è un po’ grandina, risulta consi­gliabile tenere nel cassettino la dichiarazione dei redditi, si sa mai…
Insomma, la resa dei conti è arrivata e svegliar­si dal letargo, prima che il coma diventi irreversi­bile, è fondamentale e vitale per il Paese. Il bel Sa­lone di Parigi, pronto ad aprire i battenti, con tan­te novità sugli stand, può essere l’occasione per ri­trovare le energie perdute e studiare un piano d’azione efficace. L’Italia ha bisogno di un’auto forte: è tempo di reagire e investire, questa vol­ta, in nuove idee e iniziative capaci di invertire la tendenza. Sveglia!

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