Alla letteratura spesso chiediamo di confortarci. Altrettanto spesso però chiediamo ai testi letterari di concederci un’immersione nelle più profonde regioni dell’umano, quelle che difficilmente, chi come noi nuota sulla superficie della realtà, riesce a scandagliare. Altrettanto spesso chiediamo ai libri di migliorarci o, meglio, di aumentare il nostro tasso di umanità. Se prendiamo in mano, a esempio, i Sillabari di Goffredo Parise di certo riusciamo in quest’ultima funzione. I racconti, raccolti in due riprese tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, vengono pubblicati inizialmente sulle pagine del Corriere della Sera e ambiscono, secondo la spiegazione dello stesso autore, a divenire un “sillabario” anti-ideologico, che riporti la nostra lingua (abusata senza ritegno dalla violenza ideologica del ’68 e degli anni di piombo)  a servire come semplice e “poetico” strumento per raccontare la vita interiore.

Come un sillabario il testo è diviso per lettere e i microracconti portano, ciascuno, un titolo di una sola parola in perfetto ordine alfabetico. Si parte da Amore per chiudere con Solitudine. A distanza di anni, il testo, è divenuto non soltanto un classico del Novecento, ma anche la prova più apprezzata della prosa parisiana.

All’inizio, però, l’accoglienza era stata tutt’altro che felice (con una inappellabile bocciatura da parte di Moravia). Lo scrittore veneto era stato tacciato di involuzione reazionaria. E all’epoca era marchio d’infamia.  Per fortuna c’erano lettori forti come Carlo Bo che da subito prese le difese dell’autore. “Non c’è nessun caso Parise – scrisse –. C’è soltanto uno scrittore che ha il coraggio di manifestare il bisogno di sentimenti”. In sua difesa arrivarono poi, tra gli altri, anche Natalia Ginzburg e Italo Calvino (che definì l’opera innovativa). E alla fine arrivò anche la consacrazione con il premio Strega per il secondo volume nel 1982.

Paura, Ingenuità, Malinconia, sono soltanto alcuni dei titoli (pescati a caso) di questa raccolta che si compone sostanzialmente di brevi racconti incentrati su una situazione, un personaggio, un sentimento. Oggi, forse, andrebbero riletti soprattutto alcuni di questi che trattano temi che stanno sulla bocca di tutti ma senza il pudore necessario come Libertà e Patria. Sì, anche “patria”. Che Parise vede nella gamba di legno di un reduce della Grande guerra. Non c’è retorica, ma soltanto una profonda pietas per un personaggio tutt’altro che positivo ma che l’autore riesce a tratteggiare con profonda umanità. Un sillabario che ci consente di riappropriarci di parole, fin qui troppo abusate dalla violenza dell’ideologia. Parole che restituiscono un linguaggio a dei sentimenti che non riuscivamo più a esprimere.

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