Correva l’anno 2014. Il 14 febbraio Letta si dimette, dopo appena 292 giorni di governo. Il 21 febbraio nasce il governo Renzi. Giorni dopo, a Ballarò, Renzi cerca di pulirsi la coscienza: “Ce l’ha chiesto il Pd e gli alleati, io avrei preferito altro. Io so com’è andata e non solo io. Ma il tempo è galantuomo”.

Su questo aveva ragione: lui non è stato l’unico “Giuda” che ha tradito Letta. Il primo della lista è Dario Franceschini (nella foto), per questo l’ha scelto come ministro per i Beni culturali. Aveva detto basta ai politici di professione e di lungo corso, ma pur di andare al governo si è preso in squadra pure quello che soprannominò “il vicedisastro”. Per chi non se lo ricordasse, glielo ricordo io: Franceschini è in politica dal 1980. Quisquilie. Tanto chi se lo ricorda?

Correva l’anno 2009. Era il 22 febbraio. Il giovane presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi, aveva vinto la sua sfida contro l’apparato, sbaragliando le primarie, per candidarsi a sindaco. Franceschini era appena stato eletto a guidare il Partito democratico.  E Renzi alla Stampa commentò così l’ascesa del neo segretario Pd: “Un’occasione persa. Non avrei votato Dario: se Veltroni è stato un disastro, non si elegge il vicedisastro per gestire la transizione. In questi anni Franceschini è stato una delusione”. Augurandosi poi, nel 2012, di non trasformarsi in un “Dario Franceschini qualsiasi”.

Ribadiamo, lo stesso che proprio Renzi, non un suo clone, ha spostato dai Rapporti con il Parlamento con Letta, al ministero dei Beni culturali. Già, proprio lo stesso ministero ricoperto anche da Giovanni Spadolini, tanto per farsi un’idea.

I maligni dicono che sia stata una ricompensa per avere pugnalato Enricostaisereno alle spalle. Doppiogiochista, avrebbe lavorato per mesi alla cospirazione, concordata con Renzi con svariate telefonate e messaggini. Poi Franceschini si è messo a fare il romanziere: nel 2011 uscì Daccapo. Mica Cambioverso, per l’appunto.

E, infatti, così è stato. Daccapo a dodici. Da quando è stato nominato da Renzi ministro dei Beni culturali, è arrivato l’avanzamento in carriera: da vicedisastro, direttamente a disastro. E questa volta non ci riferiamo agli scavi archeologici di Pompei. Sarebbe come sparare di nuovo sulla Croce Rossa.

Stavolta ci riferimento alla riforma del ministero messa sul tavolino dal governo. La riorganizzazione del Mibact presentata da Franceschini, avrebbe come obiettivo quello di rivoluzionare il modello organizzativo dei beni culturali italiani. Perché la parola d’ordine del renzismo è “rivoluzionare”, oltre che la sempre verde “storico”. Ecco, quello che vorrebbe fare Franceschini mette insieme tutte e due le cose, storico e rivoluzionario. Almeno secondo quello che gli dice il suo cervello.

L’amministrazione viene resa più snella, efficiente e meno costosa attraverso: l’ammodernamento della struttura centrale e la semplificazione di quella periferica; l’integrazione definitiva tra cultura e turismo; la valorizzazione dei musei italiani (20 musei di interesse nazionale dotati di piena autonomia gestionale e finanziaria con direttori altamente specializzati e selezionati con procedure pubbliche); il rilancio delle politiche di innovazione e formazione; la valorizzazione delle arti contemporanee; la revisione delle linee di comando tra centro e periferia (semplificazione delle procedure per ridurre i contenziosi) ed il taglio delle figure dirigenziali (37 dirigenti in meno). “Non si tratta di piccoli cambiamenti – ha detto il ministro Franceschini – gli italiani si aspettano da questo governo riforme importanti e la riorganizzazione del Mibact è una grande rivoluzione che ci consentirà di investire sull’incredibile patrimonio culturale che possediamo”.

Fin qui il comunicato stampa. La facciata. Adesso proviamo  capirci qualcosa. Ci aiuta, per fortuna, la professoressa Magnolia Scudieri, direttrice del museo di San Marco a Firenze, nonché responsabile dell’ufficio e laboratorio restauri della Soprintendenza per il Polo museale fiorentino. Lei è a fine carriera, ha lavorato nella Soprintendenza di Firenze da oltre trent’anni, e il suo museo è tra quelli che rischia di più, perché se “strappano” Uffizi, Accademia e Bargello dal Polo museale fiorentino, quelli che restano faranno l’accattonaggio, tra cui il San Marco che sarebbe il più nobile museo a stringere la cinghia, visto che custodisce al suo interno gran parte dell’opera del Beato Angelico. Che si fa ora? Si fa chiudere? Per questo lei si è decisa a scrivere al ministro.

La storica dell’arte Scudieri prova a dare dei consigli all’avvocato ferrarese Franceschini. “La prima difficoltà che si presenta  a chi pianificherà la riforma sta nel concepire un correttivo duttile che non risulti utile per alcune realtà, ma inadatto per altre”.

L’invito alla riflessione è riferito al punto “verso un sistema museale italiano” – che nella forma in cui è stato   presentato, non chiarisce i termini della   trasformazione e lascia adito a forti preoccupazioni e perplessità. “Esse nascono – osserva la Scudieri – dall’osservare l’intenzione di estrapolare la gestione di alcuni musei statali, tre a Firenze (la Galleria degli Uffizi, la Galleria dell’Accademia, il museo nazionale   del   Bargello), da quella globale della   Soprintendenza, che nella stessa Firenze comprende altri 24 musei. Si tratta di   realtà   museali assai variegate per tipologia di collezione, storia e dimensione, che costituiscono lo straordinario sistema museale statale fiorentino  e che rendono inimitabile la ricchezza di offerta culturale della città. Vorrei sottolineare, se mai ce ne fosse bisogno, che i musei fiorentini non sono (come forse qualcuno ancora crede) luoghi ingessati, dediti solo a custodire gelosamente e mostrare i capolavori che conservano, anche se credo che mettere al primo posto la tutela,   per un funzionario del ministero dei  Beni  culturali, sia da considerare un vanto e non una vergogna. Siamo tutti convinti, e lavoriamo costantemente, perché i musei siano luoghi dove l’intelletto  umano  possa sviluppare al meglio alcune sue potenzialità ricevendo stimoli tanto in direzione umanistica quanto scientifica”.

La Scudieri in questo passaggio, ci perdoni, esagera un po’. Parlare di intelletto umano con Franceschini potrebbe apparire come una forzatura. E, in effetti, lo è. Finché si resta nell’ambito della politica, delle congiure di palazzo e dello scambio di poltrone, va bene, ma parlare di arte e cultura potrebbe essere un’operazione alquanto ardita. Comunque…

“A Firenze i musei non sono isole separate. La loro storia è unita e le loro attuali   realtà   espositive sono rami di uno stesso albero che sarebbe inopportuno e poco proficuo separare. Il Polo museale della città di Firenze  rispecchia e interpreta pienamente questa realtà culturale, prima che museale e territoriale, dove si intersecano e si corrispondono aggregazioni diverse. L’una trae vantaggio dall’altra e l’interscambio è continuo e vitale, sia nella gestione che nella valorizzazione. Per incentivare quest’ultima, migliorare le   disfunzioni e riempire le lacune  (che sicuramente ci sono)  non abbiamo bisogno di frammentare ulteriormente la dirigenza e la gestione, bensì di essere   supportati da risorse umane, che vanno sempre più assottigliandosi per il mancato ricambio, qualificate e specializzate nei vari settori di attività, e di vedere attuata la piena autonomia gestionale di questa Soprintendenza, senza i vincoli amministrativi che ne limitano la progettualità. Individuare e isolare all’interno di questa organizzazione alcuni “mostri  sacri”  e  separarne   le   gestioni dal resto, oltre a rappresentare  una   violenza storica, non sarebbe utile né a mantenere vitale questa particolare identità fiorentina di museo      diffuso, né alla sopravvivenza delle    realtà   museali “minori” – impossibilitate a mantenere gli standard attuali se tenute fuori dalla gestione unitaria di tutti i musei –, né alla tutela e alla valorizzazione del territorio  fiorentino, cui le collezioni museali sono collegate, e neppure alla vita dei “grandi musei”. Sappiamo bene che, per sopravvivere, le splendide 27 entità museali di Firenze e il loro territorio hanno bisogno di far parte di un sistema museale e attingere alle risorse messe in comune, prodotte per lo più dalla Galleria degli Uffizi  e   dalla Galleria dell’Accademia. Tutti, anche i grandi musei, per vivere, hanno bisogno del sistema museale: comuni sono i servizi che fanno funzionare il tutto, dall’amministrazione al  personale di  custodia, ai  tecnici,  ai  conservatori. Se si separano le gestioni,  il problema della carenza ormai   cronica   di   personale, si acuirebbe mettendo in crisi l’organizzazione generale che sopravvive grazie ad un continuo mutuo soccorso  tra un museo e l’altro. Firenze è un esempio di museo diffuso tra i più vasti e ricchi, amati e apprezzati in tutto il mondo e l’attuale modello organizzativo della Soprintendenza lo sostiene e lo fa vivere. Forse è bene riflettere prima di stravolgerlo”.

Capito Franceschini? La Scudieri ha espresso in maniera educata e gentile il suo pensiero. Se la professoressa ce lo permette però, adesso interveniamo noi sulla questione con il nostro umilissimo, ma anche schiettissimo pensiero che è più una richiesta esplicita.

Franceschini, con o senza barba, dimettiti. Nell’attesa che lo faccia anche il presidente del Consiglio, e l’intero governo, intanto dai tu il buon esempio. Hai fatto e sai fare tante cose nella vita, addirittura sai scrivere bei romanzi, quindi dedicati a quello a tempo pieno. Ognuno deve essere in grado di riconoscere i propri limiti, ma siccome non ci riesci da solo, ti aiutiamo noi. E’ vero, sei stato preceduto da degni colleghi. E anche nel governo del quale fai parte, non hai molti punti di riferimento ai quali aggrapparti. Comunque sia, te il ministro della Cultura non lo sai fare. Scusaci per la sincerità. Ma è meglio che le cose vengano dette in faccia piuttosto che pugnalare gli amici alle spalle, non credi?

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