Il governo dei miracolati
Tralasciando quelli del Nuovo centrodestra, di Udc e di Scelta Civica che contano quanto il due di picche quando briscola è fiori, quasi tutti gli altri membri del governo Renzi sono dei miracolati.
Iniziamo dalla notizia del giorno. La più miracolata di tutti è senza dubbio la quarantunenne, Federica Mogherini (nella foto), solo da pochi mesi a capo della Farnesina, nominata ora come Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. Ma chi è sta Mogherini, fino ad oggi una perfetta sconosciuta nell’universo? Chi ha fatto nominare Matteo Renzi a capo della diplomazia europea, in pieno semestre di presidenza italiana? Ebbene il prestigioso curriculum di questa miracolata ad interim consta di una iscrizione alla Fgci ai tempi del liceo classico Lucrezio Caro di Roma nel quartiere chic dei Parioli. Era giovanissima, ma già un capetto, con un ruolo ben definito nel gruppo dei giovani comunisti.
La Mogherini adolescente viene descritta dai suoi ex compagni di scuola come una ragazza seria, appassionata, curiosa, amante del Trivial Pursuit, gioco per il quale nutriva una viscerale passione e nel quale nessuno poteva batterla. Insomma, un vero genio.
Ma l’attività di rappresentante degli studenti si sovrappose ben presto a quella di militante della sezione della Federazione giovanile del Pci a Ponte Milvio, la stessa che era stata di Enrico Berlinguer. Insomma, piccoli comunisti crescono. E come tutti i comunisti che si rispettino la Mogherini aveva tutte le caratteristiche bertinottiane dei radical chic di casa nostra, che da una parte si battono per gli operai, ma poi girano con la puzzetta sotto al naso. Vennero le manifestazioni per la pace degli anni Novanta e lei era in prima fila con le bandiere e gli slogan.
Dopo l’Erasmus e una laurea in Scienze Politiche alla Sapienza, nel 1996 si iscrisse alla Sinistra giovanile erede della Fgci. Nel 2001 entrò nel consiglio nazionale dei Ds successivamente nella direzione nazionale e nel comitato politico. Due ani dopo iniziò a lavorarci, per il dipartimento Esteri.
A farle fare carriera ancora una volta quel talent scout dei poveri di Walter Veltroni, che da questo punto di vista, e anche da altri, ha fatto più danni della grandine. Si sposò con Matteo Rebesani, membro dello staff di Veltroni ai tempi in cui era sindaco di Roma. E nel 2007 il primo segretario nazionale del Pd pensò proprio alla Mogherini per il gruppo dirigente del partito nuovo, in qualità di responsabile nazionale istituzioni nella segreteria. La madre di Veltroni era, inoltre, la migliore amica di Isa Mogherini, zia del ministro e celebre sceneggiatrice.
Nel 2008 diventa deputato del Pd e viene rieletta nel 2013. Nel 2014 Renzi la prende a fare il capo della Farnesina. Il resto è storia recente. Tirando le somme, la nuova lady Pesc, ovvero quella che guiderà la politica estera europea dei prossimi anni, quella che avrà a che fare con la liberazione dei due Marò, con la guerra Russia-Ucraina, con la crisi libica, con l’invasione degli immigrati, è la moglie dell’ex assistente di Veltroni, bravissima a Trivial Pursuit.
Non brilla nemmeno per coerenza. Era il 12 settembre 2012 e la pariolina comunista scriveva su Twitter (nella foto): “Renzi sceglie lo slogan che usò Franceschini alle primarie 2009, Adesso. Come inizio di rottamazione lascia un po (senza apostrofo, ndr) a desiderare”. Era il 28 novembre 2012: “Ok, Renzi ha bisogno di studiare un bel po (ancora senza apostrofo, ndr) di politica estera. Non arriva alla sufficienza”, con l’hashtag #terzaelementare. Proprio vero, in Italia basta una tessera del Pd e si può arrivare dappertutto. Ma d’altronde un miracolato non poteva che sceglierne un altro. L’unica cosa buona è che almeno lei l’inglese e il francese lo sa.
Altro prodotto del renzismo, è lo spezzino Andrea Orlando (nella foto), senza laurea, si è ritrovato in Parlamento nel 2006, ministro dell’Ambiente nel 2012 e ministro della Giustizia nel 2013. I suoi meriti sono molteplici, soprattutto quelli di essere stato segretario provinciale della Fgci e consigliere comunale per il Pci a La Spezia. In seguito se l’è fatte tutte: dopo lo scioglimento del Pci è stato rieletto nel Pds, di cui divenne capogruppo nel consiglio comunale della sua città. Da tenere presente che Orlando ha fatto anche l’assessore alle Attività produttive e poi alla pianificazione territoriale. Poi passò ai Ds chiamato alla direzione nazionale del partito da Piero Fassino, prima con il ruolo di viceresponsabile dell’organizzazione, poi come responsabile degli enti locali. Ancora una volta ci mise lo zampino Veltroni che lo nominò portavoce del Pd. E su, su anche con Franceschini, Bersani e, soprattutto, con Renzi. La prova provata che studiare tanto non serve a nulla. Se non è un miracolato questo…
Poi c’è genovese Roberta Pinotti (nella foto), 53 anni, educatrice scout, laureata in Lettere. Anche lei consigliera circoscrizionale con il Pci. Dopo lo scioglimento del Pci nel 1991, ha aderito al Pds, poi Ds e, infine, Pd. Tutti i passaggi obbligatori e classici insomma per assicurarsi una brillante carriera. In Parlamento dal 2001, sempre Veltroni la nominò responsabile nazionale difesa e sicurezza nella segreteria nazionale. Voleva fare il sindaco di Genova ma venne trombata da Marco Doria. Fino a che, gli dei dell’Olimpo, non la elevarono a ministro della Difesa. Nessuno ha mai capito con quali competenze specifiche, peraltro in un ruolo così poco adatto per una donna.
Con Dario Franceschini, 56 anni, è un po’ come sparare sulla Croce Rossa anche se da quando si è fidanzato con Michela Di Biase, (insieme nella foto alla Mostra del Cinema di Venezia) 34 anni, più giovane di lui di 22 anni, anche lei fedelissima del centrosinistra sin dai tempi dei Ds, oggi consigliera comunale del Comune di Roma grazie all’aiutino del fidanzato ministro, e da quando si è fatto crescere la barba, sembra più figo.
Franceschini è un miracolato recidivo, in quanto questo modesto avvocatino civilista di Ferrara, in pratica ha costruito tutta la sua vita attorno alla politica. Lui però lo ha fatto attraverso un percorso diverso da quello degli altri suoi colleghi. Lui è un democristiano. Infatti ha la capacità di passare da una parte all’altra alla velocità della luce e di accoltellare alla schiena tutti quelli che gli sbarrano il percorso.
Un talento che solo gli allievi dell’ex Scudo Crociato portano nel sangue. Dalla Dc, al Ppi, poi i Cristiano sociali. Aderisce all’Ulivo e lì si gioca la sua carta vincente. Infatti Massimo D’Alema lo vuole al governo come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle riforme istituzionali e Giuliano Amato lo stesso. Dal 2001 entra in Parlamento e da lì in poi è tutto un susseguirsi di incarichi e di poltrone a rotta di collo.
Con la nascita del Pd il 14 ottobre 2007 e l’ascesa alla segreteria di Veltroni, diventa vicesegretario nazionale del nuovo partito. Viene nominato vicepresidente del Consiglio nel governo ombra del Pd. Poi sostituisce Veltroni alla guida del partito ma la sua vera ascesa arriva con Enrico Letta che lo chiama al dicastero dei Rapporti con il Parlamento e, dopo aver pugnalato l’amico Enrico, Renzi lo ricompensa col ministero dei Beni culturali. Nessun altro avvocato di provincia avrebbe saputo mettere in atto un capolavoro politico migliore. Tanto più se si considera che Renzi lo considerava un “vice disastro” e lui considerava Matteo una “recita”. Bella coppia. Un disastro in tutto, si salva solo per la sua attività di scrittore alla quale in tanti vorrebbero si dedicasse a tempo pieno.
Ecco, Maurizio Martina (nella foto) è davvero un rebus. Un rompicapo più complesso del cubo di Ribik, dal quale è difficile venir fuori. Ha 36 anni, viene dalla bergamasca, e nessuno ha ancora ben capito chi sia. Forte di un diploma in Agraria con 48/60 e una laurea in Scienze Politiche, nel 2002 diventa segretario regionale della Sinistra giovanile e nel 2004 segretario provinciale dei Ds. Nel 2007 segretario regionale dei Ds e poi del neonato Pd nel quale ricopre, grazie a Franceschini segretario, la carica di responsabile nazionale Agricoltura. Si appassiona così tanto a questo ruolo e, evidentemente diventa così tanto bravo, che Letta pensa a lui quando deve fare la lista dei sottosegretari e lo nomina sottosegretario alle Politiche agricole, alimentari e forestali. Ma Renzi fa di più e lo fa ministro. Però il solito dubbio resta: ma questo Martina chi è?
Il nome Maria Carmela Lanzetta a molti non dirà nulla, ma anche lei è ministro. Delle Regioni e dello Sport. Cosa c’entrano poi questi due argomenti insieme chiedetelo a Renzi. Soprattutto chiedetegli cosa c’entra lei, che è una farmacista. E’ di Mammola, Reggio Calabria, ha 59 anni e l’unico suo merito è quello di essere stata il sindaco di Monasterace, 3.500 abitanti. Per questo è stata nel mirino della ‘ndrangheta per anni. Civatiana, ha saltato tutte le caselle ed ha vinto il premio partita entrando in un governo direttamente come ministro.
Su Marianna Madia e Maria Elena Boschi inutile spendere altre parole. In verità loro non sono nemmeno delle miracolate, sono direttamente delle sante in paradiso. Le due Madonne, appunto.
Un capitolo a parte lo meriterebbero i sottosegretari. Ne citerò solo due, i più esemplificativi.
Il primo è Luca Lotti (nella foto) 32 anni, detto “lampadina” che ha saputo far valere quel suo diploma al liceo scientifico Pontormo di Empoli con 90/100, più di un master al Mit di Boston. Consigliere comunale a Montelupo, la sua vita è cambiata da quando lungo il suo cammino è inciampato su Matteo Renzi che, quando era sindaco, ha assunto a chiamata, nella sua segreteria, pure sua moglie. Boria d’ordinanza dei Matteo’s, accompagna il suo beniamino dappertutto: è stato suo segretario particolare in Provincia e in Comune. A Palazzo Vecchio Lotti diventò il capo di Gabinetto del sindaco. Un traduttore simultaneo del matteorenzismo. L’unico in grado di svelare il vero senso del Verbo renziano. Renzi lo mette in Parlamento. Il giovane finisce alla commissione Difesa dove però risulta che non abbia mai aperto bocca. In un anno alla Camera ha fatto il 40 per cento di assenze su 3.549 votazioni. Ha parlato solo una volta in aula per commemorare l’anniversario della morte di La Pira. Naturalmente come poteva non pensare a lui nella squadra di governo: sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria. Anche se Lotti si vanta di non leggere i giornali. Un altro genio incompreso.
Il secondo è Graziano Delrio (nella foto) 54 anni, endocrinologo. Prima di entrare nelle grazie di Matteo, la gente comune non sapeva chi fosse. Forse perché prima che fosse chiamato a decidere le sorti del Paese, aveva deciso solo per quelle del suo paese, Reggio Emilia, di cui era sindaco. Ministro per gli Affari regionali con Letta, è stato scelto da Renzi come suo alter ego, sottosegretario alla Presidenza del consiglio, con funzioni di segretario del consiglio. Insomma un vicepresidente in pectore. Quando Renzi chiama Delrio, sul telefonino appare la scritta Mosè, la guida del popolo ebraico nella fuga dall’Egitto. Quando Delrio chiama Renzi, sull’iPhone appare il nome Ietro, suocero e discreto consigliere politico di Mosè. Questi i soprannomi che si sono dati. Uno complementare all’altro. Uno più miracolato dell’altro.
Ma la colpa di tutto questo è, comunque, sempre di uno solo: Giorgio Napolitano.