Non facciamoci illusioni: Mare nostrum o operazione Triton, l’invasione di immigrati dalle coste nordafricane è destinata a continuare, e se in questi ultimi giorni è un po’ rallentata, è solo per le pessime condizioni del mare nel canale di Sicilia. E’ destinata a continuare per una serie di ragioni che sono al di fuori del nostro controllo. Primo, l’Africa, pur essendo cresciuta nel 2014 più degli altri continenti, rimarrà ancora per lungo tempo il più povero e il peggio governato, spingendo i suoi giovani a tentare la pur incerta avventura europea. Chiunque abbia visitato Paesi come il Burkhina Faso, il Sudan o l’Eritrea se ne rende facilmente conto. L’Eritrea, ex colonia italiana dove tra gli anziani c’è ancora nostalgia per il nostro dominio, e da cui proviene una parte notevole dei boat people, è un caso particolare: dopo avere conquistato l’indipendenza dall’Etiopia, è finita sotto una delle dittature più spietate del mondo, paragonabile a quella della Corea del Nord. Non c’è da stupirsi se tanti giovani affrontano l’interminabile viaggio attraverso il deserto per raggiungere le coste del Mediterraneo e tentarne poi la traversata. A peggiorare le cose, in buona parte dell’Africa continua a esserci una natalità eccessiva, che fa crescere rapidamente la popolazione senza che l’agricoltura progredisca abbastanza per fornire nutrimento sufficiente a tutti. Un altro elemento che favorisce l’emigrazione è la mancanza di titoli di proprietà sulla terra: di conseguenza, i coltivatori non possono dare in garanzia i loro campi per ottenere  prestiti che gli consentano di comprare macchinari, concimi e quant’altro gli consentirebbe di migliorare la produttività. I tentativi di correggere queste situazioni sono riusciti solo in piccola parte. Di conseguenza, la spinta alla emigrazione non potrà che accentuarsi, coinvolgendo, temo, altri Paesi, specie quelli sovrappopolati.

La seconda ragione per cui l’immigrazione clandestina non ci darà tregua è l’intensificarsi dei conflitti in Medio Oriente. Molti dei barconi salvati da Mare Nostrum erano carichi di siriani, che fuggivano da una delle più sanguinose guerre civili della storia, che ha provocato, oltre a 200.000 morti, almeno sei milioni di profughi in tre anni. Molti sono accampati in Paesi vicini – Turchia, Giordania, Libano – e sopportano condizioni miserevoli nella speranza di potere un giorni rientrare nella proprie case (in gran parte distrutte). Ma molti altri questa speranza l’hanno perduta, e vedono nella fuga verso l’Europa l’unica soluzione per sé e soprattutto per i propri figli. Con l’ISIS che impazza, a questo esodo si aggiungeranno fatalmente molti esponenti delle minoranze perseguitate, in particolare i cristiani che non vedono un futuro per sé nel mezzo di un Islam sempre più intollerante e che naturalmente considerano il nostro continente  il più naturale e accessibile rifugio. A incoraggiarli a intraprendere questa strada, contrbuiscono indubbiamente anche le parole di papa Francesco, che invita ad aprire le porte a tutti.

Il problema è che noi, e neppure gli altri Paesi europei, tutti in crisi, molti con una percentuale eccessiva di disoccupati, non siamo in grado di accogliere questa massa di disperati. Grazie anche a Mare nostrum, nei primi sette mesi del 2014 (rapporto Caritas) sono arrivati 65.456 “boat people”, di cui 25 mila hanno fatto domanda di asilo e che intanto devono essere mantenuti dallo Stato italiano, suscitando le legittime proteste di pensionati che dopo una vita di lavoro ricevono meno di loro. Se l’Italia non avesse fatto la furba (suscitando l’ira di altri Paesi UE) e invece di registrarli come avrebbe dovuto in base alle cosiddette “regole di Dublino” non li avesse lasciati passare nella loro migrazione verso Svizzera, Germania, Svezia dove hanno parenti ed amici, sarebbero anche di più. La decisione di suddividerli nelle varie regioni ha forse allentato le tensioni, ma gli incidenti e i risentimenti si stanno moltiplicando, e – con buona pace della signora Boldrini – bisogna trovare un modo di arginare il fenomeno prima che degeneri.

Questo modo, a mio avviso, ci sarebbe, e l’Italia dovrebbe utilizzare l’ultimo scorcio del suo semestre di presidenza UE per proporlo con forza in sede comunitaria. Oggi i profughi non vengono più accolti in base alla convenzione di Ginevra, nata ai tempi della guerra fredda che prevedeva il diritto di asilo politico solo per individui personalmente vittime di persecuzioni, ma in base a criteri umanitari molto più generosi. I rifiuti alle richieste infatti sono, in Italia ancora più che in altri Paesi, in diminuzione, anche perché respingere nei Paesi di provenienza chi sbarca sulle nostre coste è sempre più difficile (tanto per fare due esempi, come si può rimandare a casa una famiglia che arriva da una Aleppo semidistrutta, o un disertore dell’esercito eritreo dove vige una specie di leva “a vita”?). Ma, in previsione delle nuove ondate che ci aspettano, si può perlomeno cercare di distribuirle meglio. L’idea è questa: la UE dovrebbe aprire degli uffici in tutti i Paesi da cui partono gli immigrati, per vagliare sul posto chi ha diritto all’asilo, politico o umanitario, e chi invece è solo un “migrante economico”, cioè viene a cercare in Europa un lavoro che oggi non c’è (e ci sarà sempre meno se i nostri concittadini, spinti dalla disoccupazione, torneranno a fare i lavori che, ai tempi d’oro della prosperità, rifiutavano). Chi passerà l’esame, potrà scegliere il Paese di destinazione e vi sarà portato non sui barconi dei mercanti di uomini, ma da regolari mezzi di trasporto. Chi invece non lo passerà – e i criteri, perché il sistema funzioni, dovranno essere rigorosi – non solo non otterrà il nulla osta, ma se cercherà di entrare clandestinamente nella UE potrà essere respinto senza ulteriori esami. In altre parole, siamo disposti ad accogliere chi ne ha effettivamente bisogno, ma respingiamo tutti gli altri, compresi quelli che decidessero di non affrontare l’esame in loco. Questo consentirebbe di respingere legittimamente  tutti i barconi in mare, come ha fatto per un breve periodo Maroni, allora ministro degli Interni, prima di incorrere nelle ire della istituzioni internazionali, ottenendo anche il risultato di ridurre l’ignobile traffico di esseri umani proliferato – diciamolo – anche grazie a Mare Nostrum, che garantiva il soccorso a quasi tutti quelli che tentavano la traversata.

Troppo complicato? Troppo difficile da fare accettare agli altri Paesi della UE, ben contenti che oggi l’impatto della immigrazione dall’area Mediterranea colpisca soprattutto i Paesi rivieraschi, Grecia, Italia e Spagna in primis, e che si trincerano dietro la succitata convenzione di Dublino, in base alla quale tutti gli immigranti devono essere registrati (ed esaminati) nelle nazioni d’ingresso? Troppo crudele nei confronti di gente che, in fondo, senza essere perseguitato o provenire da zone di guerra,  cerca di migliorare le proprie condizioni di vita? Forse, ma, come si suol dire, a mali estremi estremi rimedi; e poiché il fenomeno che ci troviamo ad affrontare è epocale, deve essere affrontato prima che diventi ingestibile.

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