lo Stato è il nemico
A osservare l’attuale situazione italiana, torna alla mente una famosa frase di Ronald Reagan, principale artefice, con Margaret Thatcher, della “rivoluzione blu” dergli anni Ottanta: “Non aspettatevi che lo Stato risolva i vostri problemi, perchè è proprio lo Stato il vero problema”. Le ragioni per cui queste parole sono attuali in Italia non sono esattamente quelle che ispirarono il presidente americano, ma le similitudini sono molte: l’eccessiva invadenza dello Stato nei nostri affari, il peso delle migliaia di leggi e di regolamenti che non solo ostacolano l’imprenditoria ma sono anche fonte di corruzione, l’incapacità del pubblico di gestire le sue troppo numerose aziende. Ma nel nostro caso ne possiamo aggiungere anche molte altre: l’incapacità dello Stato di difenderci da una delinquenza sempre più diffusa (e la depenalizzazione dei reati cosiddetti minori, punibili fino a cinque anni di reclusione la situazione per i cittadini onesti anche più difficile), una magistratura lenta che emana sentenze spesso cervellotiche, una burocrazie nello stesso tempo inefficiente ed opprimente, un fisco avido quanto prepotente e confusionario. Scriveva giorni fa un lettore del Corriere della Sera, non certo un giornale rivoluzionario: “Nell’immaginario collettivo non vi è la sensazione di vicinanza da parte dello Stato italiano alla problematiche della vita quotidiana; viceversa, si ha sempre più l’idea che lo Stato sia ciò da cui è necessario difendersi. La considerazione è purtroppo quotidianamente suffragata dai fatti: gli ultimi avvenimenti di Roma confermano la distanza tra i comuni cittadini e chi li rappresenta,lo Stato”. Sono parole che avrei potuto scrivere anch’io.
Come abbiamo visto, lo Stato nemico non è un male strettamente italiano, ma da noi ha forse radici più profonde che altrove. Esso lo era già nell’Ottocento, quando nel Sud regnavamo i Borboni, nel Centro governava il Papa, gran parte del Nord era soggetto alla (sia pure efficiente, e talvolta rimpianta) amministrazione austriaca. Neppure il re di Sardegna era molto amato dai suoi sudditi e forse solo il Granduca di Toscana meritava la sufficienza. I casi di corruzione, che oggi riempiono quasi quotidianamente le pagine dei giornali, erano anche allora all’ordine del giorno: probabilmente, già allora, se si fossero stilate come oggi le classifiche, saremmo finiti in fondo alla classifica, come accade oggi con l’Italia unita: quartultimi tra i ventotto Paesi della UE, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria.
Oggi non è più di moda lo slogan “meno Stato e più mercato”, perché alla prevalenza del mercato, inteso nel senso più largo della parola, si imputa a torto o a ragione la crisi bancaria che ha sconvolto l’Occidente. Ma rimangono attuali – per citare Mauro Magatti – “quello che indicava Luigi Sturzo già cento anni fa: diminuire drasticamente la quota di risorse intermediate dallo Stato”; uno Stato, bene inteso, “allargato”, cioè comprendente regioni, province (ci sono ancora, ahimè, anche se molti credono che siano state abolite) comuni ed altri enti locali, cioè ridurre al minimo gli atti che richiedono visti, timbri, autorizzazioni e quant’altro politici e burocrazia hanno inventato per accrescere il proprio potere. E’ una operazione complicata e difficile, ma ha un enorme vantaggio su tutte le altre riforme di cui si discute: è a costo zero. Anzi, una volta portata a termine, contribuirebbe a fare crescere in maniera consistente il famigerato PIL e sfronderebbe quella classe di faccendieri e mediatori che oggi sono infiltrati nei gangli dello Stato e vivono (spesso alla grande) di politica, cioè alle spalle del contribuente. Sono convinto che, se qualcuno andasse alle prossime elezi9oni con un programma del genere, avrebbe più successo di chi propone improbabili uscite dall’Euro o quel socialismo strisciante che si riscontra ancora oggi in troppi provvedimenti.