Dolore, ma di chi è la colpa?
Mi associo con tutto il cuore al dolore per la morte di altri trecento e più migranti nel canale di Sicilia, ma da vecchio uomo di mare non posso esimermi dal fare una osservazione che – per quanto ho visto – nessuno ha ancora fatto. Quei disperati che si sono imbarcati su tre gommoni (dico gommoni, neppure barche) quando il meteo prevedeva mare forza otto e onde alte come una casa a tre piani, non si rendevano conto che la traversata sarebbe finita in tragedia? Avevano aspettato, probabilmente, settimane, mesi, forse anni, per tentare di arrivare in Europa, non potevano attendere che le condizioni del canale di Sicilia fossero più adatte alla navigazione? Nella mia lunga vita, ho percorso a vela tutto il Mediterraneo e l’Atlantico da Nord a Sud e so bene che cosa è un mare in tempesta, anche se cavalloni di queste dimensioni li ho incontrati solo nei cosiddetti Quaranta ruggenti . Non c’è alcuna possibilità che un gommone riesca a percorrere 120 miglia nelle condizioni descritte dai superstiti, sarebbe come pretendere di scalare l’Everest in pantaloni corti e scarpe da ginnastica. Infatti, anche nella imbarcazione soccorsa per tempo, un quarto degli occupanti sono morti assiderati. Anche se, in maggioranza, i naufraghi provenivano da Paesi dell’interno, perciò con scarsa confidenza con il mare, ce ne sarà pur stato qualcuno al corrente di queste cose. E un naufragio collettivo non era, presumibilmente, neppure nell’interesse degli organizzatori di questa vergognosa tratta, un po’ perché spaventerà altri candidati alla traversata, un po’ per la reazione che ha suscitato in Italia e in Europa. La storia che tutti i quattrocento sarebbero stati costretti ad imbarcarsi e a fare rotta per il largo sotto la minaccia delle armi non mi sembra, francamente, credibile.
Anche su questa reazione ho qualche osservazione da fare: i cosiddetti buonisti hanno subito accusato il governo per avere sospeso l’operazione Mare Nostrum,che l’anno scorso ha portato in Italia ben 170.000 profughi, ma non ha impedito che ne morissero egualmente 3.000. Costoro, con in testa la nostra presidente della Camera Boldrini, ex portavoce dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati, sostengono che la sostituzione della missione italiana con quella europea Triton, che limita gli interventi a 30 miglia dalle nostre coste, è stata poco meno di un crimine e che – costi o non costi – bisogna tornare indietro. Ma che cosa si otterrebbe? Forse si salverebbe qualche vita in più, ma si incoraggerebbero di nuovo i potenziali migranti in attesa in Libia (forse un milione) a intraprendere la traversata, nella quasi certezza di essere comunque soccorsi, in qualsiasi punto si trovino in difficoltà, e i mercanti di carne umana a usare imbarcazioni ancora più sgangherate.
Torno perciò a ripetere: ci sono solo due soluzioni. Se si decide di accogliere in Europa quei migranti che, per le condizioni dei loro Paesi d’origine (ma il Senegal o il Ghana, per esempio, sono nazioni tranquille da cui possono arrivare solo “clandestini economici”) , possono chiedere asilo politico o umanitario, si aprano appositi uffici nei porti di partenza, si faccia la selezione là, si portino coloro che passano l’esame nei Paesi in cui vogliono stabilirsi con mezzi di trasporto normali e si avvertano i “bocciati” che, con qualunque metodo tentassero di entrare egualmente nella UE, sarebbero inesorabilmente rimandati a casa. Se invece si decide che non possiamo continuare a tenere le porte aperte a un flusso che, potenzialmente, è di milioni di individui, si pattuglino le coste della Libia e si rimandino indietro le barche prima che escano dalle acque territoriali; o, forse meglio ancora, si faccia una serie di raid nei tre o quattro ben noti porti di imbarco e si distruggano le imbarcazioni dei mercanti di carne umana. Sarebbe una violazione della sovranità territoriale della Libia? Ma la Libia è uno Stato fallito, dove non esiste più autorità, e di violazioni ne sono già state in abbondanza quando la NATO ha voluto liquidare Gheddafi, e ne saranno fatte altre in futuro per evitare che diventi un’appendice del Califfato.
Per concludere: siamo di fronte a un fenomeno epocale, destinato a perpetuarsi nel tempo. L’Europa si chiarisca le idee, decida cosa fare e smetta di strapparsi ipocritamente i capelli ogni volta che assistiamo a un naufragio, anche se “cercato” come quelli di ieri.