Terremoto: primo, non mentire
Capisco la opportunità di rassicurare in queste ore le vittime del sisma, ma è da irresponsabili promettere – come fanno tutti i giorni il premier Renzi,il commissario Errani e altri politici, che tutto sarà ricostruito e tutto tornerà come prima. Questo, lo sappiamo tutti, è praticamente impossibile, sia dal punto di vista tecnico, sia da quello finanziario, sia da quello temporale. Quando si guarda dall’alto all’ammasso di macerie cui sono ridotti Amatrice, Arquata del Tronto e le decine di altri borghi appenninici distrutti dal terremoto, è impossibile perfino immaginare come possano rinascere identici a prima. Come si resuscitano centri storici formati attraversi i secoli con case che spesso risalivano a due-trecento anni fa, come di può rifare identica la cattedrale di Norcia, come si può ricostruire l’atmosfera unica che caratterizzava quei luoghi? E’ fattibile, certo, con un lavoro che peraltro richiederebbe anni, rimuovere le montagne di pietre e costruire, con la stessa planimetria di prima, i Paesi, ma ricorrendo a palazzine antisismiche di cemento armato che ne trasformerebbero completamente il carattere. Si potrebbe, cioè, con il tempo (molto, molto tempo, gli altri terremoti insegnano) edificare una nuova Amatrice, una nuova Arquata e perfino una similcattedrale di San Benedetto, ma sarebbero “new town”, cittadine nuove come quella costruita alla periferia dell’Aquila e oggi semiabbandonata, in cui i vecchi abitanti – ammesso che quando tutto sarà pronto siano ancora di questo mondo – avrebbero pochissima voglia di andare ad abitare. Sarebbe un mondo diverso, in un certo senso addirittura alieno per gli anziani nati nei luoghi distrutti e che adesso vengono sistemati controvoglia negli alberghi lungo la costa adriatica o sul lago Trasimeno. Comunque, l’opera richiede risorse di cui, anche infischiandocene delle regole europee, non disponiamo. Quanto al progetto di mettere in sicurezza i 6 milioni di edifici che sorgono nelle zone ad alto rischio, è pure utopie, come quella di fare traslocare i 700.000 che verrebbero sepolti da una nuove, per fortuna ipotetica, eruzione del Vesuvio.
I non molti soldi disponibili vanno impiegati anzitutto per garantire a coloro che non possono, per la loro attività, trasferirsi altrove, condizioni di vita accettabili e fare in modo che gli allevamenti di bestiame non vadano a ramengo e le poche PMI presenti sul territorio possano continuare nelle loro attività, per ristabilire le comunicazioni oggi gravemente compromesse da frane, cedimento di ponti e di strade. Insomma, per evitare che un’intera fetta della penisola, tra le più belle, sia condannata a morte.
Se il governo riuscirà a far questo, potremo già dirci soddisfatti: ma non deve illudere la gente che tutto – comprese le chiese, i palazzi, i santuari, le antiche mura che costituivano il fascino di questo territorio – possa tornare come prima. Qualcuno obbietta che i polacchi, dopo la guerra, ricostruirono minuziosamente i centro storico di Varsavia, tanto che ora, 50 anni più tardi, sembra quasi antico, o che i tedeschi hanno cercato con successo di resuscitare la vecchia Dresda rasa al suolo dalle bombe. Lo stesso Friuli – si dice – ha fatto un lavoro simile. Ma le condizioni sono diverse, i tempi diversi, perfino il territorio da ricostruire più difficile e più vasto. Perciò, aiutiamo nei limiti del possibile le popolazioni colpite, facciamo magari in modo che ogni regione “adotti” un gruppo di borghi e contribuisca a salvare il salvabile, ma diciamo la verità a quegli anziani nati,cresciuti e vissuti lì che non vogliono farsi “deportare”: le loro case ridotte in polvere non le rivedranno mai più.