kanar.allahIl primo è stato Obama, che per condannare la decapitazione del cooperante americano Peter Kassig lo scorso novembre si è rifiutato di parlare di “islam radicale”  e ha usato il termine generico “male” per riferirsi ai tagliagole. Ora lo dice pure il premier inglese, il conservatore Cameron, che fa un appello alla Bbc: non usate il nome “Stato islamico” per riferirvi al gruppo di terroristi che sta spargendo sangue e orrore per il mondo. Gli fa eco il sindaco di Londra, anche lui conservatore, Boris Johnson, che lo spiega in termini molto chiari: chiamarli così vuol dire riconoscere che sono uno Stato – e non lo sono – e che sono islamici – ma “ci sono centinaia di migliaia di musulmani per cui la parola islamico è un termine di grande elogio”, “che si risentono per la costante associazione tra l’islam e il terrorismo”.

Dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna fino alla Francia, il dibattito su come chiamare i terroristi che uccidono invocando Allah è uno dei temi che stanno affrontando apertamente le cancellerie dei Paesi in prima linea nella lotta al terrorismo.

isis.vignetta.islamcristiani“Se vogliamo sconfiggere i nostri nemici dobbiamo sapere chi sono. Dobbiamo sapere come chiamarli”, ha scritto il sindaco di Londra Boris Johnson. E chiamare l’organizzazione che fa base in Siria e in Irak col nome “Stato islamico” significa “fare il loro gioco”,  spiega il deputato Rehman Chishti, promotore di una lettera firmata da 120 parlamentari inglesi e dallo stesso Cameron e Johnson per chiedere alla Bbc un cambio di terminologia.

E allora come chiamarli? In molti ormai propongono di usare la versione più diffusa nel mondo arabo: Daesh, che si rifà all’acronimo in arabo al-Dawla al-Islamiya fi Iraq wa ash-Sham ma che si avvicina al dispregiativo Dahes, “chi semina discordia”. Il governo francese lo ha già fatto, Cameron dice: meglio “Isil” (acronimo inglese di “Stato islamico dell’Iraq e del Levante”) oppure “cosiddetto Stato islamico”.

Ma le obiezioni non mancano. “Basta con gli eufemismi e le contorsioni verbali”, scrive Aayan Hirsi Ali, ex musulmana ora in prima linea contro la barbarie dell’islamismo di cui è stata vittima. Evitare ogni riferimento all’islam – come Obama è accusato di fare – può apparire più come una sottomissione, la paura di pronunciare il nome di una religione che i terroristi invocano di continuo e alla quale si rifanno di continuo.

Ignorare del tutto la matrice del terrorismo che “è la lotta della nostra generazione” (parole del premier inglese) è sbagliato. Lo spiega bene il sindaco di Londra: “Non possiamo ignorare la potenza della dimensione religiosa. Significherebbe dire che non c’è problema in nessuna moschea, che non c’è niente nei testi religiosi che può essere rivoltato o malinteso, che non ci sono leader religiosi che sferzano odio contro l’Occidente, nessun travisamento del credo religioso per fini politici”. Non è così, “dobbiamo distinguerlo da un altro tipo di terrorismo” e  “non possiamo ignorare un fatto madornale: che c’è una battaglia in corso per il futuro dell’islam e su come si possa adattare al Ventunesimo secolo”, “non possiamo ignorare la potenza della dimensione religiosa”. Perciò Johnson fa un appello a tutti, per evitare che si cada in una lunga diatriba che fa perdere di vista ai governi e ai cittadini l’obiettivo finale: “Chiamiamolo islamismo, chiamiamolo islamo-fascismo, ma sbrighiamoci e uniamoci per estinguere il fenomeno. Se dobbiamo batterlo, dobbiamo almeno sapere che nome ha”. Perché è vero, le parole sono importanti, ma i fatti lo sono di più.

Twitter: @gaiacesare

Vignette di Kanar (sopra) di Clay Jones (@claytoonz)

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