Londra, i raid in Siria e Corbyn al tappeto
Il dado è tratto. Il primo ministro David Cameron ha annunciato che il Parlamento inglese voterà mercoledì per decidere se dare il via libera ai raid aerei in Siria. La notizia è arrivata dopo una giornata convulsa, non per il primo ministro, ma per il Partito laburista. Jeremy Corbyn, il pacifista di ferro eletto tre mesi fa alla guida del Labour, dopo giorni di indecisione, minacce di dimissioni da parte del suo Gabinetto ombra, dopo aver ribadito e insieme negato di essere un pacifista, alla fine ha deciso di lasciare libertà di coscienza ai suoi deputati. Un gesto democratico? No, la semplice constatazione che, se l’ordine di scuderia fosse stato quello di votare per il “no” ai raid, il partito si sarebbe spaccato in due, disattendendo le direttive del proprio leader, come di fatto accadrà mercoledì, ma stavolta con il magnanimo via libera di Corbyn, che così evita che i suoi rivali interni ne chiedano la testa. Il leader della sinistra inglese alla fine ha dovuto cedere e lasciare mani libere ai suoi deputati. Ora Cameron ha la ragionevole certezza che il sì del Parlamento arriverà, nonostante la contrarietà di una dozzina di deputati del Partito conservatore (che avrebbero potuto fare la differenza) ma soprattutto grazie al sostegno di molti deputati laburisti (si ipotizza che siano tra 60 e 100 su 231 a votare col governo) , fra cui i due terzi di coloro che siedono nel governo ombra di Corbyn.
Il capo più votato della storia del Labour avrebbe voluto impartire ai suoi un ordine perentorio. “È il leader che decide”, aveva detto domenica in un’intervista. Poi gli eventi lo hanno sopraffatto. È stato fermato dalla minaccia di dimissioni di decine di parlamentari laburisti e della sua stessa squadra, compreso il ministro degli Esteri ombra.
Corbyn ha ricordato che dalla sua ha il 75% della base del partito, sondaggi alla mano. La guerra non è nelle sue corde e il capo del Labour non vuole compiere l’errore fatale commesso da Tony Blair, a cui la base laburista non ha mai perdonato la decisione di trascinare il Paese in guerra contro l’Irak di Saddam Hussein. Corbyn ha però dimenticato di riferire che dopo gli attentati di Parigi l’opinione pubblica britannica ha cambiato rotta ed è ora al 60% favorevole ai bombardamenti.
La scelta di colpire la Siria non è semplice, è parecchio rischiosa e non è escluso che, come ai tempi dell’Irak, potrebbe non rivelarsi necessariamente utile a sconfiggere del tutto l’auto-proclamato Stato islamico e potrebbe avere conseguenze imprevedibili, compreso il rischio di nuovi attentati sul suolo inglese.
Ma che il nuovo leader della sinistra non sia Blair lo si capisce proprio da come ha affrontato l’impasse. Corbyn non è riuscito a far valere la sua linea, ha cambiato idea di fronte alle minacce dei contestatori interni temendo che arrivasse una formale richiesta di dimissioni nei suoi confronti e lascia a un’ampia fetta dell’opinione pubblica britannica non solo la sensazione di essere un leader debole ma anche quella di non essere all’altezza della minaccia terroristica che incombe sul Regno Unito. Il leader della sinistra inglese perde la prima grande occasione per dimostrare di poter essere un giorno primo ministro. Una debolezza che già una fetta dell’apparato di partito e molti suoi deputati non gli perdonano. Una scelta che potrebbe rivelarsi fatale. Perché alla fine i voti dei deputati laburisti “dissidenti” serviranno a Cameron per portare a casa il “sì” ai raid in Siria. Non a caso il primo ministro ha aspettato la decisione presa dal Labour prima di annunciare che convocherà il Parlamento. Insomma i raid si faranno e partiranno poche ore dopo il voto. Corbyn, alla sua prima prova cruciale, finisce al tappeto. Se non riesce a serrare le fila del suo partito su una questione così importante come la lotta al terrorismo (quindi anche su sicurezza interna e politica estera), come farà a compattare gli elettori per tentare la scalata a Downing Street?
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Vignetta di Bob per il Telegraph