Successo May: verso la Brexit e oltre
Il miglior risultato degli ultimi dieci anni per il Partito Conservatore, che avanza ovunque in Inghilterra, Galles e persino in Scozia (finora impenetrabile), conquistando 11 comuni e oltre 500 consiglieri in più rispetto alle precedenti elezioni locali. Un “quadro disastroso” per il Labour di Jeremy Corbyn (copyright del laburista Stephen Kinnock), che perde 380 rappresentanti comunali e 9 municipalità. E poi l’Ukip quasi azzerato nelle assemblee locali (un solo consigliere comunale riconfermato) e dato ormai per morto dopo aver contribuito alla Brexit. Sbranato in un solo boccone da Lady May.
Se, come spesso accade, le amministrative di giovedì nel Regno Unito sono la cartina al tornasole dello stato di salute dei partiti e la prova generale alla vigilia delle elezioni politiche dell’8 giugno, Theresa May può mettere in fresco lo champagne e l’Unione Europea cominciare ad abbassare i toni. Nella settimana in cui il livello di scontro fra Bruxelles e Londra ha raggiunto picchi finora mai sfiorati, gli avvertimenti della Ue alla Gran Bretagna per aver scelto l’uscita dal gruppo dei 28 (incluso il salatissimo conto da 100 miliardi di euro che Londra dovrebbe pagare a Bruxelles) rischiano di sortire l’effetto contrario a quello sperato dagli euroburocrati.
Il segnale è chiaro: gli inglesi a questo punto vogliono che la Brexit sia portata a compimento e si fidano dei Tory perché questo avvenga cercando di trarne il maggior vantaggio. Non a caso la premier conservatrice ha deciso di chiamare il Paese a elezioni anticipate. Cerca il mandato forte e molti indizi dicono che lo otterrà nonostante, con grande cautela e pragmatismo, il Partito Conservatore ammetta che c’è una dura battaglia da combattere nelle prossime cinque settimane e che nulla è ancora certo. May si guarda bene dall’esultare: “Non daremo nulla per scontato”. Ma il traguardo più importante – una maggioranza ampia a Westminster dopo voto di giugno – sembra ora più vicino.
Il Labour? Il partito di Corbyn poteva farsi bandiera del fronte anti-Brexit (come sta cercando di fare l’ex premier Blair dietro le quinte) ma non ha saputo cogliere il momento. Troppo debole il suo leader (che nella partita più importante per il Paese non ha saputo giocare alcun ruolo), spaccato al suo interno il partito, con una fetta della working class stanca delle ingerenze europee, che ha votato per l’addio alla Ue e vuole dare a Theresa May pieni poteri per una Brexit di successo. È anche in quest’ottica che si spiega il tracollo dell’Ukip a tutto vantaggio dei Tory. Il partito di Nigel Farage sembra avere esaurito la propria ragione sociale.
Poi c’è Theresa May. È lei il leader inglese più popolare dal 1979, con il 61 per cento dei consensi secondo un sondaggio Ipsos-Mori, il dato più alto di sempre negli ultimi quarant’anni per un capo di partito, ancora più forte se confrontato con il 23% di Corbyn. Come se non bastasse, un altro sondaggio YouGov dice che il 62 per cento degli elettori ha un’opinione sfavorevole di Corbyn, il peggior risultato mai raggiunto da un leader inglese dal 2000 a oggi. È il paradosso del leader pacifista che ha ottenuto il mandato più ampio mai strappato da un capo di partito quando nel settembre 2015 ottenne il 59,5% dei voti nella corsa per la leadership laburista (senza però ottenere il sostegno dei deputati del Labour, ai minimi). Un leader di lotta (forse), ma lontano dal governo (i laburisti perdono dopo 40 anni anche la maggioranza nel consiglio comunale di Glasgow, storica e ultima roccaforte in Scozia, dove lo Snp primeggia e i Tory avanzano). Non a caso i Conservatori volano nei sondaggi, con un record di consensi che non si vedeva dal 1983 e che li dà in vantaggio da dieci fino a oltre venti punti percentuali. La May in volo. Verso la Brexit. E oltre.
Vignetta di Christian Adams per il Daily Telegraph