“Credo che riposterò”,  ha detto mia figlia questa mattina scrollando Instagram, dopo essersi svegliata dal torpore  giovanile con lo schiaffo della Corte Suprema americana, e aver scoperto, in un colpo, che una donna ha meno diritti di una pistola. Effettivamente la sentenza della Corte in una cosa ha avuto effetto positivo: far capire pure a loro, ai ragazzi del qui e ora, che dell’oggi non c’è certezza.

Per il Magnifico Lorenzo, nel 1490, la certezza incerta era quella del domani, ma ora si sa, il mondo viaggia più veloce. Anche al contrario. I ragazzi lo avevano già percepito abbastanza bene con il Covid. Ma lì si trattava di cose da fare, di vita, di libertà, di scuola, di amici, . Qui si tratta di diritti, dati per acquisiti e quindi persino banalmente fin troppo scontati.

Così mentre c’è un mondo che pensa ad andare in vacanza su Marte, mentre Alexa fa un 48,  annunciando di poter dare voce al morto che parla, mentre i robot sono quasi fin troppo umani, mentre i millenni sono quasi tre,  in un’estate decisamente troppo calda di avvenimenti e di temperatura un manipolo di giudici decide per la retrocessione di un paese che la storia ha voluto paladino dei diritti.

E dove ora la Suprema decisione è che si può uscire tranquillamente di casa con una pistola, ma non è più garantito il diritto all’aborto. Ogni stato faccia quello che vuole. Come nel Far West. Una retrocessione non tanto al 1973, anno della storica sentenza “Roe contro Wade”  ma all’800, perché è lì che la Corte basa, o meglio affonda, la sua decisione.

“Ma indietro non si può tornare!” s’indignavano le ragazze che non danno chance neanche a un papabile spasimante seppur figo che non si alza da tavola per sparecchiare nello stesso medesimo istante in cui si alzano loro e se magari, per puro caso, ammette di non saper stirare una camicia…

Quindi due cose:

  1. Quando la giustizia è politica, la Corte non è più suprema
  2. Una decisione che si basa su quanto veniva riconosciuto nel XIX secolo farebbe ridere se non ci fosse da piangere perché mette a rischio una quantità di diritti acquisiti che fanno la storia della nostra evoluzione  (emancipazione è un termine troppo femminile…)Biden ha detto che oggi è un giorno triste.
    Altro che triste. Per un paese come l’America è come costringere le donne al burka in altri paesi.
    Semplicemente è una vergogna.

Sul Corriere oggi la filosofa Martha Nussbaum con la sua consueta lucidità dice che così la Corte perde legittimità. E che una sentenza del genere “indica che altri diritti potrebbero essere a rischio: l’uso dei contraccettivi, scegliere chi sposare, i rapporti consensuali con persone dello stesso sesso, o altri non menzionati nella Costituzione come quello di viaggiare da uno Stato all’altro o persino di votare”.

Parecchi ma parecchi anni fa d’altronde (era il 2013) la Nussbaum aveva messo in guardia. Lo aveva fatto con un libro (ed. ilMulino) dall’eloquente titolo “Non per profitto”. Sottotitolo: “Perché  le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica”. Hanno bisogno, era sottolineato.

Nella quarta di copertina si legge: “L’istruzione vòlta esclusivamente al tornaconto del mercato globale esalta la scarsa capacità di ragionamento, il provincialismo, la fretta, l’inerzia, l’egoismo e la povertà di spirito, producendo un’ottusa grettezza e una docilità che minacciano la vita stessa della democrazia e che di sicuro impediscono la creazione di una degna cultura mondiale”.

Sono passati quasi 10 anni e già gli effetti si cominciano a vedere.

Per fortuna in Italia non è una sentenza a garantire un diritto fondamentale delle donne, ma è una legge, la 194 del 1978. Una legge che nasce dal basso, da un referendum.
Ma meglio continuare a indignarsi, care ragazze e cari ragazzi, perché lui non pensi di non dover lavare i piatti, perché non importa che paghi sempre lui il conto, perché si possa uscire con la minigonna, perché il cat calling non è una cosa normale, perché il sesso vuole sempre il consenso.

E perché la Corte si aggiorni.

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