La vita buona in tempo di guerra
Il cardinale Angelo Scola è partito per Parigi per tenere una conferenza ai Bernardins appena dopo la strage di Parigi. «La gente vuole riprendere a vivere» ha detto. Accadeva lunedì scorso, alla presentazione dei «Dialoghi di vita buona» e sembra quasi paradossale parlare di vita buona con gli occhi pieni di sangue del Bataclan e di aerei da guerra in volo. Eppure a volte la realtà suggerisce incroci illuminanti, che aprono pezzi di cielo quando tutto sembra avvolto nella foschìa di cuore e intelletto. Il filosofo Massimo Cacciari, che di questi incontri è uno dei protagonisti (non saranno code di Chiesa ma incontri tra esseri pensanti, con o senza fede), accende una lucina: «L’Occidente è la patria della razionalità e il cardinale Scola compie un vero atto di fede nella razionalità europea con questi Dialoghi». È il momento della ragione, nonostante sia difficile, perché guarisca il cuore, che forse è ancora più accecato dal male.
Siamo in guerra? Bisogna rispondere con la guerra? Il cardinale Scola non si sottrae: «I fatti di Parigi, come ha detto il Papa, sono un atto di guerra>. Ma la risposta che propone è diversa, nasce dalla ragione: <Sarei contrario a parlare di guerra da parte nostra in questo momento, anche perché non mi pare che nell’ultimo ventennio abbia dato grandi risultati. Credo la pace molto migliore: dialogo, confronto, scelte». Chiarisce: «Pace, non generico vogliamoci bene».
Si prova a ragionare e dialogare. È già molto, in questo ciclo di conferenze che vede nel comitato scientifico Mahmoud Asfa, direttore della Casa della Cultura islamica e il rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib. «Continuiamo il nostro percorso di pace, rispetto e dialogo» assicura Scola. Asfa è in sala, dice frasi dolci e commosse di netta condanna. E’ il tema dell’oggi, per il cardinale Scola, che da anni chiede, predica, insiste, spinge per il dialogo, ma ripete anche che non c’è un solo Islam, gli Islam sono tanti, con fondamentalismi estremi e contraddizioni non risolte. Accade che in Medio oriente i patriarchi cristiani abbiano con i musulmani rapporti molto buoni, dice il cardinale. Lo ha testimoniato anche il patriarca maronita Bèchara Boutros Rai nella sua recente visita a Milano. Esiste un Islam con cui il dialogo non è solo possibile ma in atto, in Medio Oriente ma anche tra di noi.
«Non dobbiamo confondere queste frange estreme» dice il cardinale. Eppure ci sono queste frange estreme, i terroristi islamici. E solo dall’Islam può arrivare una prima risposta: «È molto importante che gli islamici si facciano sentire, come già stanno facendo, devono dire chiaramente la loro radicale contrarietà». Domanda «una maturazione del fenomeno Islam, degli Islam», che «deve nascere dall’interno dell’Islam stesso, perché è solo questo processo interno di distinzione tra dimensione religiosa e dimensione sociale e politica che può togliere all’Islam il rischio di voler diventare padrone con la forza – sto parlando di certi estremisti – e voler liberare i popoli dall’essere schiavi».
Anche noi dobbiamo rivedere valori e stili di vita, il laicismo alla francese che esclude ogni simbolo religioso e che non ha dato molti frutti. E poi c’è la malattia dell’Occidente: il narcisismo. Malattia mortale? Forse no, se mentre gli uomini sono assassinati e i mirage sfrecciano, c’è ancora spazio per i dialoghi. Per il College des Bernardins e la sua ricerca di senso e di Dio. Per credere in una vita buona.