Non ne posso più di questa retorica dell’Erasmus. Basta, Renzi, basta. Per il premier è un’ossessione che si porta dietro da quando non era ancora premier e neppure sindaco. Non so chi lo abbia convinto che il collante di un’intera generazione – la sua, la mia, la vostra, qui non ci si capisce più niente con ‘ste generazioni – sia questo benedetto programma di studio all’estero. Forse qualche suo amico scout o magari – e sarebbe nettamente meglio – si è innamorato di Audrey Tautou guardando l’Appartamento spagnolo. Sta di fatto che il giovin signore fiorentino per scrollarsi di dosso quell’aria un po’ democristianetta che lo perseguita non fa altro che sproloquiare (in toscano) di Erasmus. Che probabilmente per lui è la quintessenza della figaggine giovanilistica. Bisogna ammettere che Renzi questa fissazione se la trascina dietro da anni, è stato un vero e proprio pioniere nell’edificazione di questo luogo comune. Frugando un po’ in rete si scopre che già nel 2005 si lanciava in sbilenche analisi sociologiche: “Siamo quelli degli sms e dell’Erasmus al centro di trasformazioni epocali ma per questo serve una politica che cambi, capace di parlare ai giovani e di stare con loro”. Eccolo lì, c’è già tutto il debolissimo Renzipensiero: un impasto di jovanottissmo, cattolicesimo sinistreggiante metallizzato di scintillante giovanilismo, tutto filtrato attraverso un po’ di buonismo internazionalista.

Che poi, se gli piace così tanto questo Erasmus, non si capisce perché non lo ha fatto: era troppo impegnato a farsi fotografare insieme a Ciriaco De Mita? E, a ben vedere, nel governo questa leggendaria generazione Erasmus scarseggia. L’unico ministro che a curriculum può vantarlo è Federica Mogherini (è stata ad Aix en Provence). E, probabilmente, è per questo che l’hanno spedita alla Farnesina e pure a Bruxelles.

Ma io questa etichetta di Generazione Erasmus appiccicata in cima alla testa non la voglio. Restare imprigionati in una generazione è peggio che rimanere chiusi in un’ascensore: claustrofobia immediata. Voliamo basso: che cos’è l’Erasmus? Un modo per ubriacarsi e copulare forsennatamente? Se fosse così, farebbe capolino una punta di sfiga: uno deve farsi duemila chilometri per divertirsi? Non può farlo direttamente a casa sua? Non solo. Perché se fosse solo questo, se l’Erasmus fosse un gigantesco Orgasmus, una specie di turismo sessuale sotto copertura, un rito orgiastico coi voti sul libretto, tutto sommato, farebbe anche simpatia. Chi non ha mai fatto una vacanza all’insegna della trasgressione alzi la mano? Suvvia, non ci crede nessuno… Ma qui c’è tutta la prosopopea dello scambio culturale, dell’esperienza formativa, dell’uomo cittadino del mondo (quando invece ha difficoltà a essere anche abitante di se stesso), dell’Europa che è tutta un paesone unico e noi cittadini, praticamente compaesani, dobbiamo familiarizzare, incontrarci, volerci tutti bene e toglierci di dosso il nostro stramaledetto provincialismo. E ancora una volta salta fuori il solito complesso d’inferiorità che se non vai a studiare all’estero non capisci come va davvero il mondo. Una cazzata.

L’Europa è un’accozzaglia di genti che si stanno sulle scatole e la Ue è un’istituzione odiosa e odiata che però mette tutti d’accordo: non la sopporta nessuno. Ma non è mica finita qui: in un’Europa dalle metropoli globalizzate dai consumi e dagli usi, il vero scambio culturale è stare sei mesi in Aspromonte, nella Sila o sull’Appennino tosco-emiliano. O girare il mondo. Senza la foglia di fico dello studio, viaggiando per viaggiare, senza nessun’altra giustificazione. E quindi studiando, davvero. Ma soprattutto senza appartenere a nessuna generazione.