No, questa Renzi non la doveva dire. Questo cliché triste, da sinistra in crisi di identità poteva risparmiarselo. Capisco il gusto per la battuta e la necessità di uscire da una brutta situazione buttando tutto in vacca. Ma il giovin battutista fiorentinto, solitamente, ha boutade molto più felici in faretra. Invece oggi non ce l’ha proprio fatta. Contestualizziamo. Oggi si chiude il semestre italiano di presidenza dell’Unione Europeo. Ah perché era iniziato?, direte voi. Infatti non se ne è accorto nessuno. Vi ricordate cosa dicevano, politici e opinionisti, prima dell’inizio di questa scampagnata a Bruxelles? Una grande e storica opportunità per l’Italia. Tutti gli occhi puntati su Roma. E quindi tutti a leccarsi e azzimarsi, lustrare le argenterie e fare sfoggio della propria unta muscolatura. Un semestre in cui non ci si poteva dimettere, non si poteva andare al voto, non si potevano fare troppi casini. Un semestre bianco che alla fine è andato in bianco. Perché nessuno, né fuori né dentro l’Italia, ha avvertito il grande impegno istituzionale dell’Italia nel cuore dell’Europa. Oggi l’erasmus di Renzi a Bruxelles è finito, il praticantato dagli euroburocrati è arrivato al capolinea e il caro premier si è concesso un’ultima euroconcione. Davanti a un’aula semi deserta. Il premier, durante la magna orazione, cita Dante. Più per campanilismo che per interessi culturali. Salvini, uno dei pochi presenti, lo interrompe e lo sfotte: “È il deserto, non ti ascoltano neppure i tuoi”. Colpito nel vivo. Renzi senza pubblico è come la Boldrini senza machismo: non sa cosa fare, s’innervosisce, vaneggia. Scoppia in eurovisione la guerra dei Mattei. E Renzi, come tutte le volte nelle quali viene sgamato, perde la pazienza e sbrocca: “Capisco che leggere più di due libri è difficile per qualcuno…”. Eccolo lì. Scivolato nella solita sabbia mobile della (presunta) superiorità intellettuale della sinistra. La solita idea cretina e ignorante che a destra coi libri ci accendano i caminetti. Un’idea vecchia, che sarebbe giusto rottamare.

PS

E poi si può dire una cosa? L’ostentazione della cultura – presunta o reale che sia – è volgare come la sgasata di quello al semaforo con la macchina elaborata.