In un giorno così drammatico per le Borse europee, assieme al mitico spread fra titoli di stato tedeschi e italiani ha raggiunto il culmine anche lo scontro tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Si è scritto che già al momento di presentare la lettera d’intenti al Consiglio europeo il ministro avesse detto al premier: “Il problema non sono le misure che prendiamo, il problema sei tu”. Al vertice di ieri sera tra alcuni ministri, Tremonti avrebbe ripetuto a Berlusconi la richiesta di farsi da parte. Ricostruzione poi smentita dal portavoce del ministro ma non dagli altri partecipanti al vertice (da cui la notizia era uscita).

Di tutto avremmo bisogno in questo momento, fuorché della mancata intesa tra il governo e il responsabile del bilancio, il cui distacco dall’esecutivo sembra diventato incolmabile. Non ha votato il rendiconto dello stato. Non ha firmato la lettera d’intenti all’Ue. Non sta sostenendo le azioni straordinarie anticrisi. L’unica contromisura proposta dal ministro si chiama tassa patrimoniale. Si fa vedere poco a Roma, ma in compenso si reca con Umberto Bossi alla Sagra della Zucca di Pecorara (le maiuscole sono d’obbligo per un appuntamento con cotanti ospiti) distillando oscure citazioni di sapore biblico: “Sta venendo il tempo di mettere la ragione e il cuore al posto del saggio di interesse, di mettere il pane al posto delle pietre e l’uomo al posto dei lupi”.

Che partita sta giocando il titolare di via XX Settembre? Nell’ultimo mese ha concesso una sola intervista, l’8 ottobre all’Avvenire, che l’ha pubblicata nella forma della conversazione e non del tradizionale “botta e risposta”. Il tema era la lotta all’evasione fiscale e il colloquio si chiudeva con un netto no all’ipotesi di condono tributario. Nemmeno una parola sul decreto sviluppo, i rapporti con Berlusconi, i tagli al rating italiano, il possibile rientro di capitali dalla Svizzera. Lui che era sempre stato più prudente di Berlusconi sul superamento della crisi, oggi appare l’ostacolo maggiore agli interventi di emergenza.

C’è chi ipotizza che Tremonti sia il braccio occulto di forze economiche sovranazionali che vorrebbero pensionare Berlusconi e fare dell’Italia terra di conquista. Chi lo considera in preda a una svolta idealistica e lontana dalla realtà. Chi, come il sottosegretario Guido Crosetto, non teme a dire “roba da neuropsichiatria“. Più probabile che voglia ripercorrere le orme di Lanfranco Dini nel 1995, ministro del primo governo Berlusconi chiamato a succedergli alla guida di un governo tecnico. Tremonti asseconderebbe il disastro finanziario per svettare sulle macerie. E dunque, dopo Fin-endola, ecco Tremon-dini.

Il distacco di Tremonti è comunque un segnale pericoloso per il governo, che ieri ha perso un altro voto alla Camera con l’abbandono del gruppo parlamentare di Roberto Antonione, ex governatore del Friuli ed ex coordinatore di Forza Italia. Per Berlusconi i problemi maggiori, al momento, non vengono da Bruxelles o da Cannes, ma da Roma, dal suo stesso partito. I numeri a Montecitorio scricchiolano. Ma potrà un eventuale governo tecnico (Monti, Tremonti, o chi per loro) con una maggioranza Fini-Casini-Bersani-Di Pietro-Vendola, risicata ed eterogenea, portare a compimento le riforme che – giustamente – si chiedono con estrema urgenza a Berlusconi?