L’articolo che ho pubblicato sul Giornale di domenica 6 (potete leggerlo qui) ha provocato moltissime polemiche, segno che ha colpito un nervo scoperto. Un’albergatrice di Lignano Sabbiadoro denunciava il fatto che molti italiani rifiutano il lavoro di cameriere al punto da essere costretta ad assumere personale albanese. La struttura applica i contratti in vigore, che prevedono orari e turni, ma gli italiani – a differenza degli stranieri – volevano un giorno di riposo fisso (per esempio il sabato o la domenica), oppure avrebbero accettato le condizioni di assunzione a patto di uno stipendio sensibilmente più alto. Gli stipendi medi nel settore viaggiano sui 1.500 euro più vitto e alloggio per la stagione, che a Lignano dura da maggio a settembre.

La signora precisava poi che assumere albanesi non si è rivelato un ripiego, perché ha trovato persone che avevano studiato presso scuole alberghiere, molti avevano anche appreso il tedesco (che sui litorali del Nord Adriatico è come una seconda lingua ufficiale) ed erano disposti a una certa flessibilità, per esempio fermandosi un po’ di più in sala nelle giornate “campali”. Lei comunque avrebbe preferito assumere italiani per dare occupazione ai connazionali.

Nei commenti all’articolo ne ho lette di tutti i colori, a partire dall’accusa di schiavismo. Di cui in realtà non c’è ombra perché, come detto, contratti e prestazioni rispettano le regole in vigore. La questione resta dunque aperta in tutta la sua drammaticità. Meglio un lavoro qualsiasi per guadagnarsi il pane finché arriva il lavoro giusto, oppure meglio aspettare (e farsi mantenere) l’impiego adatto alla propria professionalità? E come comportarsi con la manodopera straniera, in particolare extracomunitaria?

Ma l’Istat fotografa anche un fenomeno nuovo e in crescita, cioè quello dei giovani che non studiano né cercano lavoro, prigionieri di un fatalismo negativo, che neppure si pongono la questione di quale lavoro fare: semplicemente si lasciano trascinare nel nulla.

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