I numeri non mentono mai, soprattutto se si tratta della conta di quanti non sono più con noi a causa di questo maledetto Covid. E oggi i numeri dei morti sono una sferzata di realtà violenta a tal punto da far stupire quanto riesca a passare sottotono nello stillicidio anestetizzato dei bollettini giornalieri che ci lasciano orwellianamente insensibili. In questi tempi di Covid la nostra “Antologia di Spoon River” è uno scarno e tecnico report statistico (aggiornato al 17/1/21) pubblicato in gennaio dall’Istituto Superiore di Sanità che descrive le caratteristiche dei 63.573 pazienti deceduti per Covid in Italia. Tra le righe, quel numero accenna a uno stravolgimento sociale ancora non raccontato che oltre ad aver diminuito le aspettative di vita di 10 anni, in alcune regioni ha toccato 4 persone su 10 e coinvolto chissà quante famiglie con dolori difficili da rimarginare. La battaglia contro il virus che oggi vede in prima linea la generazione, quella degli over 70 (dei Beatles, dei Rolling Stones, delle battaglie sociali) nasconde un problema sociale ben  più rilevante che oltre a determinare un numero importante di  bambini che non verranno concepiti e di adolescenti che si dovranno confrontare con una cultura della socializzazione e dell’istruzione disastrata colpirà principalmente quelli che oggi sono bambini che subiranno le conseguenze indirette più devastanti in termini sociali ed economici: la Lost Generation come viene chiamata da un recente studio dell’Unicef.

Oltre alle tante possibilità di lettura sociologica la tabella dell’Istituto Superiore di Sanità offre riferimenti a cui potersi collegare per una rilettura di un anno appena passato e per gli approcci futuri costituendo la matassa su cui si avvolgerà il filo di questa pandemia. È risaputo che il contributo più alto in vite è stato dato dalla generazione tra i 75 e gli 80 anni che costituiscono la media delle perdite di cui il 94% morta per insufficienza respiratoria. la Lombardia ha pagato il debito più alto con 4 morti per Covid ogni 10 persone (37,9%), circa 1 ogni 10 in milia Romagna (10,6%), in Piemonte (8,7%) e in Veneto (8%). Le altre regioni seguono con un netto distacco questa macabra statistica a testimoniare quanto diversa possa essere la percezione del pericolo sul territorio italiano quando più si diluisce non il contatto diretto con la mortalità che nella maggior parte delle regioni italiana si attesa su percentuali che possono risultare invisibili (al fondo dell’elenco Calabria, Basilicata e Molise con lo 0,3% di decessi). Il dato che maggiormente stupisce considerata la presenza di una forte comunità in Lombardia è quello della Calabria (0,8%) che rende merito alle azioni della governatrice Iole Santelli.

Il primo impatto offerto dai dati porta a riflettere su come l’Italia non sia stata in grado di controllare l’epidemia nel periodo estivo quando, con il virus ‘in letargo’, si è diffusa una pericolosa euforia da ‘liberi tutti’. Non a caso, rispetto ai numeri di marzo-maggio (circa 34 mila decessi, scesi tra giugno e settembre a circa 27 mila), la seconda ondata ha duplicato i decessi superando i 63 mila morti tra ottobre e dicembre, malgrado la maggior conoscenza del virus e l’uso di farmaci più appropriati. Comunque la si voglia ritenere queste perdite umane restano segni indelebili che ci raccontano una storia da non dimenticare che ci deve portare ad una maggior consapevolezza nei confronti di un virus mutevole con cui dobbiamo ancora imparare a convivere.

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