Volevo iniziare a scrivere questa recensione a mò di lettera con un “Caro Montanelli”.  Perché Montanelli non solo mi è stato caro e mi è caro, ma è stato per me un padre, un “maîtres à penser”.  Eh sì, perché Indro l’ho vissuto in prima persona nella sede de “Il Giornale”, da vicino, e sono diventato giornalista (iscritto all’Albo Giornalisti) grazie a lui.  Ricordo quando dal quinto piano (cronaca- qui sulle pagine avevo la rubrica “La Mostra della Settimana”) o dal quarto (Cultura- ricordo il suo “bravo” per un articolo su “Adriano Parisot”) della Redazione del Giornale di Via Gaetano Negri, scendevo al terzo dov’era la “sua stanza” con la porta sempre aperta e lui sempre disponibile a dare consigli, sempre, anche nelle giornate malinconiche e grigie.  Oggi tanti giornalisti ne scrivono per sentito dire, ma averlo vissuto da vicino è altra cosa, credetemi.  Vent’anni fa ci lasciava Indro Montanelli (1909-2001), il giornalista che ha attraversato tutto il Novecento e lo ha raccontato a lungo con la sua forza e il suo piglio controcorrente. Nato a Fucecchio, nel 1909, cominciò la sua carriera “dentro alla cronaca” nella guerra d’Abissinia. Da allora, tutti i grandi eventi storici lo videro in prima linea: era nella Spagna della guerra civile, in Polonia quando i panzer tedeschi scatenarono il secondo conflitto mondiale, nei Paesi baltici e nella Finlandia calpestati dai carri armati sovietici. Nel 1943 venne arrestato e condannato a morte dai repubblichini. Fuggito dal carcere, riparò in Svizzera, dove subì l’ostracismo dei fuoriusciti. Finita la guerra rientrò al “Corriere della Sera”, dove con i suoi reportage, le sue interviste e i suoi libri di divulgazione storica si guadagnò la fama di giornalista più amato e più contestato d’Italia. Era tra i pochi conosciuti anche oltre confine. Quando la sua carriera sembrava giunta al termine, fondò e diresse due giornali, senza mai rinunciare alla sua indipendenza e al ruolo di bastian contrario. Negli anni bui della Prima Repubblica venne preso di mira e gambizzato dalle Brigate rosse. Alla fine, tornò a occupare la sua stanza al “Corriere della Sera”, il giornale che aveva sempre considerato come la sua “casa”. Ora abbiamo questo libro “Un italiano contro” con il sottotitolo “Il secolo lungo di Montanelli”, pubblicato da Solferino. Contiene una serie di interventi di amici e colleghi, ad iniziare dagli ultimi direttori del Corriere della Sera , Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli, i giornalisti che parteciparono con lui alla fondazione del “Giornale” e de “La Voce” e alcuni di coloro che lo hanno conosciuto da vicino. E’ il racconto inedito, pubblico e privato, di un protagonista della nostra storia, di un Maestro morale e civile, di storia e di cultura, di un giornalista di razza. Credetemi, è difficile che il suo nome possa essere dimenticato in una qualsiasi redazione italiana.  Che lezione morale quel rifiuto d’essere nominato senatore a vita! Di lui, nel libro dedicato al suo “secolo lungo”, scrivono 14 personalità del giornalismo e non solo: Ferruccio De Bortoli e Paolo Mieli; Pier Luigi Vercesi e Sergio Romano; Antonio Carioti e Gian Antonio Stella; Isabella Bossi Fedrigotti e Fernando Mezzetti; Dino Messina e Luigi Offeddu; Beppe Severgnini e Aldo Cazzullo; Donata Righetti e Giangiacomo Schiavi; testimoni di un grandissimo, straordinario giornalista. Diciamolo a chiare lettere che Montanelli, è stato fascista e antifascista, berlusconiano e antiberlusconiano; più ancora, sicuramente e certamente “anticomunista” anche quando riceveva applausi interessati da sinistra. Molti scambiarono l’uscita da “Il Giornale”, come un volgersi a sinistra. Del resto, così spiegava questa impropria sua “conversione”: “Io continuo a professarmi uomo di destra: ma la mia destra non ha niente a che fare con quella “patacca” di destra che ci governa”. Certamente liberale. Nelle sue citazioni un posto di rilievo lo conquista una frase precisa: “Lo Stato dà un posto. L’impresa privata dà un lavoro”. E’ certo che Montanelli vedeva lontano, per quella destra che amò e detestò insieme, incapace di programmare il futuro, di unificarsi, di andare al governo.  Scrisse: “Quando anche imponessimo, con tanto di carabinieri e di tribunali, che la lotta politica fosse circoscritta a due soli partiti, o coalizioni di partiti, dentro ognuno di essi si riformerebbero – sia pure col nome di “correnti”, o “cespugli” o di questa o quella specie animale o vegetale – i quaranta o cinquanta partiti di oggi”.  Non c’è che dire, è stato profeta dell’oggi.

Disse Montanelli: “Noi, di fascismi ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra sinistra è spesso maestra. Non per nulla lo stesso Mussolini veniva dai suoi ranghi”; bella lezione per il PD di oggi che intende – idea malsana- far sciogliere il Partito di Fratelli d’Italia.

E su quest’Italia, che viviamo, povera di idee, di politici veri, ma non di leggi, ha scritto: “Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz’altro. L’Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un’altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c’è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la Germania ha in tutto 5.000 leggi, la Francia pare 7.000, l’Inghilterra nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari”.

Ai tanti giovani lasciò detto, da liberale qual’era:  “L’unico consiglio che mi sento di dare – e che regolarmente do – ai giovani è questo: combattete per quello in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne. Quella che s’ingaggia ogni mattina, davanti allo specchio”.

E terminando questo scritto-recensione per il volumetto che poggia sulle testimonianze per Montanelli, lascio ai lettori il suo necrologio che dettò prima di morire: “Mercoledì 18 luglio 2001, ore 1:40 del mattino. Giunto al termine della sua lunga e tormentata esistenza – Indro Montanelli – giornalista – Fucecchio 1909, Milano 2001 – prende congedo dai suoi lettori ringraziandoli dell’affetto e della fedeltà con cui lo hanno seguito. Le sue cremate ceneri siano raccolte in un’urna fissata alla base, ma non murata, sopra il loculo di sua madre Maddalena nella modesta cappella di Fucecchio. Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili”. (Necrologio su se stesso scritto da Indro Montanelli).

Indro Montanelli è stato un maestro assoluto, di grandi insegnamenti, ma anche grande giornalista, intellettuale contro, un grande del secolo Novecento.  

Carlo Franza

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