Il paradosso della “Coalizione sunnita” contro il terrorismo
L’Arabia Saudita crea una “Coalizione anti-terrorismo” tutta sunnita, composta da trentaquattro paesi, con l’obiettivo di combattere il terrorismo jihadista in Iraq, Siria, Libia, Egitto, Afghanistan e Nigeria.
Sono esclusi dal “patto” i paesi sciiti e non è certo una casualità, visto che l’alleanza sembra più che altro avere l’obiettivo di contrastare l’ “asse sciita” (Iran-Iraq-Siria e Hizbullah) alleato di Mosca e i curdi, attivi nell’ area siriana e irachena.
Una situazione paradossale visto e considerato che sono stati proprio gli sciiti e i curdi ad aver fatto di più nella lotta contro gruppi jihadisti di matrice sunnita-wahhabita come Isis e Jabhat al-Nusra.
Vale la pena mettere in evidenza che il Regno Saudita, più volte accusato di finanziare gruppi jihadisti non soltanto in Siria e Iraq, ma anche a livello globale, è da sempre estremamente attivo nell’ “esportazione” dell’ideologia wahhabita, con particolare attenzione a Balcani, Caucaso e Asia centrale. Quell’ideologia wahhabita che pone le fondamenta per le azioni di gruppi come l’Emirato del Caucaso e Jabhat al-Nusra.
Diversi estremisti filo-Isis collegati a casi italiani hanno avuto rapporti stretti con l’Arabia Saudita, come Mariglen Dervishllari, cognato del marito di Maria Giulia Sergio. Dervishllari, morto in Siria mentre combatteva nelle file dei jihadisti, aveva studiato all’Università Islamica di Medina e aveva messo in contatto la Sergio e Aldo Kobuzi con una delle principali reti di reclutamento in Albania, quella guidata da Genci Balla e Bujar Hysa, attualmente sotto processo a Tirana. C’è poi il caso di Bushra Haik, propagandista dell’Isis legata a Maria Giulia Sergio, che teneva “corsi di Islam” su Skype e attualmente latitante in Arabia Saudita.
Secondo il King’s College London’s International Centre for the Study of Radicalisation, l’Arabia Saudita è il secondo paese, dopo la Tunisia, in quanto a foreign fighters, con stime che vanno dai 1500 ai 2500 .
C’è poi il Qatar, principale sponsor dei Fratelli Musulmani assieme alla Turchia di Erdogan, quest’ultima a sua volta più volte presa in castagna mentre inviava carichi di armi ai jihadisti in Siria. Paradossalmente però i Fratelli Musulmani sono stati inseriti nella lista delle organizzazioni terroriste nel 2014 proprio da Arabia Saudita, oltre che da Egitto ed Emirati Arabi (anche questi ultimi due sono membri dell’ “alleanza” guidata dai sauditi). Cosa ancor più curiosa, i Fratelli Musulmani vennero bollati come terroristi ben prima del 2014 da Russia e Siria alawita, paesi esclusi dal “Patto sunnita-saudita” e con interessi non proprio convergenti col mondo sunnita.
E’ evidente che la nuova “Alleanza” ha ben poco a che vedere con la lotta al terrorismo; l’obiettivo è chiaro: contrastare l’intervento russo in appoggio ad Assad e l’influenza militare iraniana in Siria e nel sud dell’Iraq.
Mettendo da parte il discorso sul fatto che non esiste una definizione universalmente condivisa per quanto riguarda il termine “terrorismo” (nemmeno tra americani e israeliani), come ci si può aspettare un’efficace lotta al terrorismo da parte di una coalizione così controversa, non in grado di definire quali sono i gruppi terroristi da combattere all’interno del loro stesso mondo sunnita?