Oggi si parla tanto di lotta al terrorismo ma non esiste ancora una definizione del fenomeno universalmente accettata e condivisa.
Purtroppo il termine “terrorismo” spesso viene declinato e adattato in base alle necessità di chi lo utilizza, in base ai target dei “terroristi”, se “alleati” o “nemici”, ma non è certo questo il metodo idoneo per una corretta prospettiva.
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Basta pensare alla Turchia di oggi, esempio perfetto, dove il governo islamista di Erdogan accusa di terrorismo i gruppi curdi del PKK e del YPG ma contemporaneamente fornisce sostegno ai jihadisti dell’ISIS e ai qaedisti di Jabhat al-Nusra; governo tra l’altro legato al movimento dei Fratelli Musulmani (nel quale è incorporata anche Hamas, braccio palestinese dell’organizzazione), messo al bando in diversi paesi tra cui Egitto, Siria, Arabia Saudita, Emirati e Russia proprio per terrorismo. Sono proprio i Fratelli Musulmani a rappresentare il perfetto esempio dell’incapacità di trovare un accordo universalmente condiviso sul terrorismo: infatti, se i precedenti paesi non hanno esitato a metterli al bando, ce ne sono altri (come USA, Gran Bretagna, Francia e Italia ad esempio) che fanno fatica a prendere una decisione al riguardo, tollerando l’attività dei Fratelli sul proprio territorio e lasciando che il gruppo interagisca con ambienti politici.
Altro interessante esempio è Jabhat al-Nusra, gruppo qaedista definito impropriamente da alcuni ambiti statunitensi come “ribelli moderati”; peccato che fino a poco tempo fa al-Qaeda era il nemico numero uno dell’Occidente, lo stesso nemico che prima del 1989, seppur con un altro nome, veniva gestito e appoggiato dagli USA contro i sovietici in Afghanistan. Successivamente i qaedisti verranno usati in Bosnia contro i serbi, tanto che Usaman Bin Laden, Ayman al-Zawahiri e altri massimi esponenti di al-Qaeda riceveranno la cittadinanza bosniaca.
Se si vuole combattere il terrorismo a livello globale, bisogna avere un’idea ben precisa: un comun denominatore piuttosto generico per definire il termine “terrorismo”, potrebbe far riferimento a una “strategia dove un determinato gruppo utilizza specifiche tipologie di violenza per fini politici”.
Mescolare il “terrorismo” con altri termini come “movimento di liberazione”, “movimento partigiano” o “movimento contro l’occupazione” non porta a nulla perché ciò che distingue il terrorismo sono le modalità di azione e non lo scopo, la causa. Chi sono i bersagli degli attacchi?
Nell’aprile del 1998 durante un incontro al Cairo della Lega Araba si era stabilito che quelle attività violente che avevano come obiettivo la liberazione e l’auto-determinazione non andavano catalogate come terrorismo; un’ipotesi piuttosto subdola e con evidenti motivazioni politiche.
Nel luglio del 2002 la saudita Muslim World League aveva pubblicato “il punto di vista islamico” per quanto riguarda la definizione di terrorismo:
“…..un oltraggioso attacco perpetrato da individui, gruppi o stati nei confronti dell’essere umano (e la sua religione, vita, intelletto, proprietà e onore). Include tutte le forme di intimidazione, danno, minacce, uccisione senza giusta causa”.
E’ quel “senza giusta causa” finale che rende la definizione ambigua perché ancora una volta, invece che sul modus operandi, si focalizza tutto sulla motivazione, sulla “giusta causa”.
La definizione diventa ancor più confusa in un’ulteriore clausola dove si afferma che “…il jihad è stato ordinato per eliminare tutte le forme di terrorismo, per difendere la propria terra dall’occupazione, il saccheggio e il colonialismo”.
Boaz Ganor, analista anti-terrorismo e direttore dell’ICT di Herzliya, ha messo in evidenza un particolare interessante per quanto riguarda la definizione di terrorismo del Dipartimento di Stato:“…violenza premeditata e politicamente motivata, perpetrata contro obiettivi non-combattenti per mano di gruppi sub-nazionali o agenti clandestini, solitamente con l’obiettivo di influenzare l’audience”.Ganor sottolinea come gli Usa abbiano utilizzato il termine “non-combattenti”, specificando così che potenziali attacchi contro militari che non si trovano in status di combattimento sono comunque da considerare come attentati terroristici. Un esempio? L’attentato alla USS Cole nel 2000; il sequestro del riservista israeliano Gilad Shalit.

Secondo Ganor però tale tipologia di attacco ricadrebbe nella categoria di guerrilla più che di terrorismo, visto che gli obiettivi sono dei militari. Dunque come si potrebbe definire terrorismo? L’analista israeliano non ha dubbi: “Uso deliberato di violenza, diretta contro civili, per raggiungere obiettivi politici”.
Secondo Ganor motivazioni, cause e considerazioni soggettive non possono stabilire ciò che è o non è terrorismo.

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