Avete scommesso una fortuna sul crollo di questo Paese. E avete vinto…

 

 

 

 

Il costo di un uomo. Peso e valore. Vita e aspettativa. Ragioni aritmetiche. Quello che i periti assicurativi – nel valutare l’importo di un risarcimento – chiamano “il capitale umano”. Valore pur sempre, ma anche in altra chiave. Uso e utilizzo. Limpido e brutale come spesso lo sono i numeri. Senz’anima. E senz’anima appaiono i personaggi di questo film di Paolo Virzì, Il capitale umano, appunto, in cui si sottolinea proprio l’ambivalenza, o meglio la corrispondenza di questa definizione. Capitale non è dunque solo il prezzo economico di ciascuno di noi, ma anche la fonte di utilità che non sempre ha una tradizione finanziaria, ma spesso ce l’ha.

E allora ecco il nipote minorenne “venduto” come spacciatore dallo zio pusher al proprio posto per evitarsi la galera. O il figlio di papà che affoga nel denaro e maltratta la mamma, “venduto” come autore di un omicidio mai commesso. Lo squalo dei mercati che “compra” un socio un po’ gonzo promettendogli lauti ritorni e lo scarica alle prime perdite, intascandosi – vedi bene – il capitale. Di nome e stavolta di fatto. E lo stesso besugo in salsa brianzola che viene a capo del segreto dell’omicidio di cui è accusato il figlio dello spudorato trader e chiede un riscatto per la prova assolutoria. Ben 980mila euro e un bacio. La parcella della libertà proposta all’adultera sposa di quell’uomo e madre del ragazzo incriminato. Rapporti sessuali che non sanno di amore ma di ricompense. Anch’essi, a loro modo, sono capitali umani.

Brianza profonda e Varesotto, la Lombardia ricca. Quella che parla con accento aperto. E l’articolo davanti al nome di battesimo. Un investitore pirata e un ciclista che muore. Le indagini di una polizia che brancola nel buio di una dinamica scontata e, proprio per questo, non ci azzecca. Ma soprattutto un assassino da acciuffare che solo il computer – senz’anima come tutti i personaggi della storia – saprà però denunciare. Fino ad allora dinamiche diverse di vite diverse, che scorrono l’una a fianco all’altra. Credendo di sapere tutto. Condividere tutto. E tutto invece è nulla. Lo squalo del trader ignora le infedeltà della moglie e picchia il figlio in realtà innocente. Si fa beffe del socio, poi trionfa negli affari dopo aver sfiorato il baratro. La ragazza che s’innamora di quello sbagliato, il ricco, per poi lasciarlo a favore del povero. L’avanzo di galera, perseguitato da una fama che non gli spetta. L’imprenditore immobiliare sull’orlo del fallimento che ha lasciato la moglie fedifraga, si è risposato e, in attesa di un figlio, si è buttato a capofitto in operazioni borsistiche di dubbia probabilità.

Il materiale umano è vario e frastagliato con un denominatore comune. Senz’anima. A loro modo lo sono tutti i componenti delle famiglie in scena. Tranne Serena e  Roberta (Valeria Golino), la psicologa che sposa l’immobiliarista e si ritiene una fallita. E senz’anima, non a caso, è perfino il computer da cui esce la rivelazione finale. La chiave del dramma. Il volto dell’assassino. La tecnica del racconto è seducente. La stessa giornata, vissuta con gli occhi e il cuore di tre personaggi diversi. Dino (Fabrizio Bentivoglio). Carla (Valeria Bruni Tedeschi). Serena (Matilde Gioli). L’ambizioso rampeghino che vive nel sottobosco della società. La moglie del finanziere. La ragazza dal cuore buono. Tre modi diversi di vivere le stesse ore. In questi tre capitoli lo spettatore riesce a ricostruire, come in un’indagine poliziesca, la dinamica di un giallo che rappresenta il cardine della trama, ma non sembra mai in primo piano.

Chi guarda non attende lo scioglimento dell’enigma, ma vive con le sensibilità dei tre attori. Paragona sensazioni. E sentimenti. Scatti d’ira. Impazienza. E disperazione. E inevitabilmente si ritrova con un nulla in mano. Un capitale umano deteriorato. Perduto. Utilizzato per scopi bassi. Bassissimi. E quella scommessa finanziaria inizialmente azzardata – il crollo del Paese – diventa reale. Trionfo non solo a livello economico, ma soprattutto umano. La festa per il successo borsistico dello squalo che conclude le riprese è la chiosa senza appello. Avete scommesso sul crollo di questo Paese. E avete vinto. Il buono soffre. Sfiora la morte con l’ennesimo tentativo di suicidio. Un taglio alle vene. Il malvagio trionfa. Grazie a un capitale più disumano che altro. E si brinda al crollo del Paese. Economico e metaforico. Reale e umano.

Gradevole nella sua amarezza, arricchita da uno humour nero che sottolinea il tragico più che il comico di certe situazioni, il film di Virzì vanta una colonna sonora che mescola brani classici di musica sinfonica e celebri canzoni. Girato tra Como e Varese, ampiamente riconoscibili, ma idealmente ricollocato in Brianza il film tradisce la scarsa conoscenza dei luoghi, da parte di Virzì, nell’insistito accenno sulle notizie diffuse dalla “Prealpina”, il quotidiano di Varese che tuttavia non ha una grande diffusione nei dintorni di Monza, dove invece il film viene ambientato.

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