La crisi è passata. Evviva la crisi. Quella economica, s’intende. Quella che dai negozi e dai portafogli è ora approdata sul grande schermo e sta smettendo di essere cronaca per diventare Storia. O almeno un frammento di essa. Di certo c’è che nel nuovo cinema francese essa è parte della storia, rigorosamente con la minuscola stavolta. E le difficoltà di una congiuntura, durata più di un lustro, ha lasciato tutt’altro che indifferenti. La commedia, quella seria, quella che a casa nostra è fatta di risate dozzinali di volgari bellimbusti, abili con i versi ma ben poco con le emozioni, ebbene la commedia – si diceva – ha il riflesso di questi anni ai quali forse si sta cominciando solo ora a mettere ordine. E, come sempre, non appena la bufera accenna a lasciare il posto all’arcobaleno, il turbinio si trasferisce in un altrove fatto di immagini.

partageNegli ultimi mesi la Francia ha sfornato molti titoli interessanti, al di fuori del genere drammatico, nei quali si rimarca con una certa chiarezza gli effetti disastrosi delle difficoltà sociali e finanziarie di piccole e grandi famiglie, dopo i violenti sconquassi del sistema mondo. Ne esce il quadro di una depressione economica in tanti casi tutta da ridere, come in Le grand partage di Alexandra Leclère, in cui un intero condominio è chiamato a dare ospitalità a profughi, nullatenenti e viandanti vari, in un contesto di difficoltà logistiche dove la crisi non è soltanto sociale ma sfocia in campo politico e perfino in quello dei sentimenti. Coppie che si rompono. Figli disastrati. Amici-amanti-amori dai fin troppo fluidi confini. Si assiste insomma al disorientamento collettivo, fatto perfino di tubi che si sgretolano e operai incapaci di rimpiazzarli e aggiustarli. La recessione attanaglia dunque ricchi e poveri, mostrando volti diversi e colori differenti. Un cerchio che si allarga nell’acqua fino a risucchiarvi un po’ tutti, perfino coloro che erano convinti di restarne esclusi, credendo di rinchiudersi nella torre eburnea del proprio benessere fatto di musica e dischi introvabili da ascoltare in religioso silenzio.

heureuxPace e musica irraggiungibili anche per l’“allegra” famigliola di Encore heureux firmata da Benoit Graffin che mette in primo piano due genitori da non imitare, benché parzialmente giustificati – nelle loro molte malefatte – dalla volontà di sopravvivere a un’emergenza finanziaria che costringe la moglie a rubare al supermercato e il marito all’accattonaggio fra i rifiuti, per trovare qualcosa da mettere all’asta sul web e raccattare qualche spicciolo. La morte accidentale e naturale di una vicina offre il pretesto per il riscatto da una vita in miseria ma apre altre voragini, lastricate di sospetti e colpe, alle quali la famigliola riesce a uscire attraverso trucchi e inganni. Di nuovo felici, insomma, come recita il titolo. Anche se l’insegnamento decisamente deteriore – si può rubare e speculare su un cadavere perché i soldi danno la felicità – appare come il neo più grande di un film, decisamente gradevole e allegro, che tuttavia porta con sé una sfumatura di nobile morale. L’amore non si compra e non si vende. E l’assegno dell’opportunista che offre una cifra per comprarsi la moglie di quel dignitoso povero finisce a terra ridotto in frammenti. Coriandoli di ricchezza.

pensionLavoro – quindi denaro – in aggiunta ai sentimenti sono gli ingredienti di Pension complète di Florent Siri. Una donna conduce un hotel ristorante di successo con il suo ultimo compagno, dopo aver perso il primo marito in uno tsunami in Thailandia. Tuttavia, la verità non è quel che sembra e l’uomo inaspettatamente riappare, gettando nel disorientamento la coppia. Gastronomia e stelle Michelin si amalgamano in un impasto che comprende nuove e vecchie povertà. Il consorte superstite è un finto benestante, l’attuale partner della donna è un ambizioso chef di successo. La via d’uscita agli estremi è una convivenza a tre, anch’essa non certo esemplare, in fatto di moralità. In realtà, il denominatore comune è quello dell’adattamento. Ci si adegua a qualunque situazione pur di uscire dal budello tortuoso di situazioni scomode o altamente imbarazzanti. Tra amori in soffitta e un presente che si veste di un futuro roseo si mescola l’apparizione di un inganno sotto forma di un tranello. Una finta morte e una vera vita. Un aiuto richiesto dall’aldilà che si concretezza in un aldiqua decisamente invadente. E invasivo. Il compromesso è dietro l’angolo. Come la morte di Encore heureux e i nuovi arrivati di Le grand partage.

un-plus-uneCrisi di coppia e coppie in crisi pure in Un plus une di Claude Lelouch e Lolo di Julie Delpy. Versanti diversi e opposti, perché Lolo è un bizzoso ragazzino, figlio di mammà, che ostacola un serioso Dany Boon, fresco di divorzio e innamorato della protagonista, una ex ragazza madre da anni in solitudine. La difesa dei privilegi e delle attenzioni mette in atto una guerra all’ultimo nervosismo tra i due maschi contendenti su posizioni apparentemente non competitive. Presentato a Venezia nel 2015, ma mai approdato sugli schermi italiani, Lolo offre un modesto spaccato di un amore in crisi. Tra individualismo e singolarità al femminile e al maschile. Solitudini incompatibili e opposte. La scelta di restare per proprio conto si coniuga con quella di non stare più con la persona con cui si è stati a lungo. Un attrito che s’infrange sullo scoglio di sentirsi privati delle attenzioni materne dopo lunghi anni di coccole indiscriminate. E’ crisi di affetti che si stringono e si sfilacciano. Incrociano professioni distanti ma non sempre gratificanti. Il modesto informatico entra nel mondo del disegno di moda e sembra emarginare il figlio nullafacente. Non c’è il denaro che invece resta sullo sfondo di Un plus une, l’unico film al crocevia.

angeTra drammone sentimentale, in linea con le attitudini di Lelouch e il sapore di commedia on the road che mette a contatto un attore in trasferta con la moglie di un diplomatico, stanca di un matrimonio senza spasimi. I due sono incompatibilmente diversi e non ne fanno mistero neppure loro stessi e alla crisi che li travolge non esiste via di uscita che non sia il sorriso. Accettazione acquiescente di due mondi che gravitano in una stessa galassia, lontani anni luce. Ed è crisi di diversità anche in Ange & Gabrielle di Anne Giafferi. Un padre e una madre sono costretti a prendersi cura e a gestire l’improvvisa maternità nata dall’accoppiamento dei relativi figli. La crisi inizialmente insolubile, tra una risata scanzonata e buffi giochi a nascondino, si stempera in qualcosa di probabile che diventa addirittura una nuova nascita. Alla coppia dei figli si affianca quella dei due genitori, improvvisamente riuniti in un gioco delle parti e del destino in un’inattesa gravidanza. Garbo e fascino avvolgono una commedia che non ha le pretese di insegnare, ma sottolinea come esista sempre una via di uscita alla crisi. Stavolta è la natalità inattesa alla base di una doppia relazione che da un iniziale stato di conflittualità, si trasforma in una coesione allargata.

simE’ il teorema di un uomo che si adatta a circostanze ed emergenze. Il contrario di quanto accade al protagonista di La vie tres privée de monsieur Sim di Michel Leclerc in cui un uomo, abbandonato dalla moglie dopo aver perso l’impiego, si avventura in un viaggio in Italia per ritrovare il padre, ma finisce per accettare una proposta di lavoro per vendere spazzolini da denti avveniristici in una terra inospitale. Si sottopone così a peregrinazioni interminabili attraverso la Francia, dove conquista soltanto la propria solitudine al di fuori del mondo che lo ha respinto. E’ un personaggio senza speranza né avvenire che accetta di malanimo un’esistenza lontano dai suoi simili, nella consapevolezza che vivere con essi si rivela fonte di insofferenza e disagio. Crisi dai multiformi aspetti, condensata in un unico volto e un unico cuore. E’ il tema della fuga. Strozzata e senza uscita. Ma pur sempre, un’insolita forma di conquista di se stessi davanti alle avversità.

loloL’attualità tocca e condiziona l’individualità dell’essere umano, sia come singolo sia come parte di un tutto che lo include in forme di realtà diverse e diversificate. Il grande schermo del XXI secolo in salsa transalpina guarda insomma al presente, non più a quel passato letterario costruito sulle dotte fantasie di autori estranei al mondo circostante. Come sarebbe piaciuto a monsieur Truffaut. In un articolo dal titolo Una certa tendenza del cinema francese, pubblicato nel 1954 sui “Cahier de cinema” si era scagliato contro una maniera di condizionare la Settima arte a tradizionalismi del passato, scollegati dalla realtà. Ne nacque la Nouvelle vague e un modo nuovo di usare la macchina da presa per raccontare storie. Scrivendole. Un po’ come se la macchina da presa fosse una stilografica. E non per nulla fu definita proprio così. Camera-stilo. Oggi, anni Dieci del Duemila, la lezione sembra assimilata. E poco importa se una morale immorale – fatta di triangoli amorosi e furti giustificati, sospetti e discriminazioni – fa parte dei nostri giorni o della finzione. La favola appartiene a ieri. Raccontare la crisi per immagini è raccontare il terzo millennio. Nel bene e nel male.

Tag: , , , , , ,