“Io, Charlotte Rampling” vi racconto: così ho perso mia sorella e ho taciuto
Non ha mai parlato volentieri della morte di sua sorella. Anzi. Non ne ha mai parlato affatto. Charlotte Rampling – rimasta nell’immaginario collettivo perla sua interpretazione ne Il portiere di notte (1973) di Liliana Cavani, oltre che per moltissimi altri film fra i quali spiccano La caduta degli dei (1969) di Luchino Visconti e il recente Giovane e bella (2013) di Francois Ozon – è donna riservata. Uno stile appreso da un padre, campione di atletica alle Olimpiadi di Berlino del 1936 ed ex militare, ma soprattutto maturato fin dalle sue origini britanniche che sono andate sciogliendosi nella sua seconda culla. Parigi e la Francia. Charlotte Rampling, quel trauma, se lo è portato dentro. Lo ha nascosto e custodito. Lei, girovaga per passione oltre che per lavoro, ha sempre rifiutato una destinazione specifica. L’Argentina. Là dove Sarah ha smesso di vivere ed è stata sepolta. Un dramma interiore che solo il figlio ha squarciato, con una telefonata. “Mamma, sono in compagnia di Sarah”. Era andato in Sudamerica e non aveva dimenticato di portare un fiore sulla tomba di quella zia, sulla quale era scesa una cortina di silenzio. Aveva sposato Carlos e si era trasferita laggiù, ma poco tempo dopo era giunta la notizia. “Sarah è morta”. E, con lo stesso gelido e laconico fare, suo padre le aveva comunicato la disgrazia dopo il ritorno a casa. Da allora Charlotte glissò. Per sempre.
Uno squarcio su quelle sofferenze viene ora da un libro magico, Io, Charlotte Rampling (66thand2nd edizioni, euro 18) redatto a quattro mani con Christophe Bataille. O meglio – in 120 pagine arricchite da molte e preziose foto di famiglia – lo scrittore ha raccolto la testimonianza della celebre attrice, descrivendone stati d’animo e ricordi con una prosa che assomiglia a una poesia. Nessun didascalismo, dunque. Nessuna organicità. Solo emozioni in una sorta di chiacchierata che va disfacendosi pagina dopo pagina, lasciando il microfono aperto all’attrice settantenne in vena di confessioni. L’autobiografia è una sorta di antologia di pensieri, separati l’uno dall’altro ma uniti dalla coerenza del ragionamento complessivo. Privo di capitoli e ricco di immagini, il testo si rivela di rapida lettura ma di difficilissima consultazione. È un romanzo intimo e psicologico che racconta tra bagliori e lacrime la storia di una famiglia che ha attraversato il dolore a piedi scalzi. La disillusione di un genitore che voleva fare dell’aeronautica la sua vita. Volare nei cieli, ma trovarsi escluso. Vincere una medaglia alle Olimpiadi di Hitler e scoprire la truffa. Era di alluminio. Neanche il metallo era pregiato in quegli anni così bui. Poi la triste storia di quella sorella, fuggita sulle orme del primo vero amore. Un legame incancellabile che nemmeno la morte ha scalfito. Maggiore di tre anni rispetto a Charlotte, Sarah se ne è andata con l’uomo della sua vita. Ma quella vita si è rivelata eccessivamente breve. Un attimo. Un batter di ciglia. Esserci. E non esserci più. La Rampling non scrive. Parla. A mettere nero su bianco i suoi pensieri ci pensa Bataille con una penna davvero raffinata e unica. Una vita descritta con pennellate che escono dalla tavolozza di un autore, molto a suo agio a creare emozioni e soprattutto immagini da trasmettere al lettore. Occhi dell’immaginazione.
Charlotte Rampling è attrice discussa nella sua lunga carriera cinematografica, tuttavia è da sempre molto attenta a custodire preziosamente i suoi affetti e la dimensione familiare. Ciò non le ha impedito di condurre una vita sentimentale spregiudicata e priva di timori reverenziali. A venticinque anni ha condotto per qualche anno un menage a trois con il fotografo Randall Lawrence e il suo migliore amico, Brian Southcombe che avrebbe poi sposato nel ’72 e dal quale ebbe un figlio. Il matrimonio non andò a gonfie vele e nel giro di quattro anni i due si separarono. Nel ’77 la Rampling incontra il musicista Jean Michel Jarre che sposa l’anno successivo e dal quale ha avuto altri due figli. A fronte di questa vita sentimentale certo non convenzionale, l’attrice ha portato sempre nel cuore il segreto e il dramma di quella sorella morta suicida dopo aver dato alla luce un bimbo prematuro. D’accordo con il padre, la Rampling ha tenuto il riserbo e il mistero su quella disgrazia per evitare alla madre, già malata, un dolore che la avrebbe uccisa. I due decisero di mascherarla dietro il paravento di un emorragia cerebrale. La verità emerge oggi, in questo libro, pubblicato quindici anni dopo la scomparsa dell’anziana mamma, avvenuta nel 2001.