ge1Il dispetto della natura. Il bisticcio delle apparenze. Essere e sentirsi. O meglio, ritenersi qualcosa di opposto a ciò cui si era destinati. Le donne di 3 Generations della regista inglese Gaby Dellal hanno in comune tre modi diversi di essere e di lottare contro ciò che non si è più o non si è mai stati. Tre generazioni al femminile con una nonna anacronistica e anticonformista (Susan Sarandon), una figlia dal passato disinvolto e disinibito più dal lato etico e morale che da altri (Naomi Watts) e la nipote (Elle Fanning) alle prese con una sessualità contraria a quella affibbiatale da madre natura. Una convivenza a tratti impossibile e una domanda inquietante, ai limiti dell’irrisolvibilità. Quale linguaggio comune potranno mai usare fra loro tre soggetti con queste caratteristiche. A complicare le relazioni si aggiungano i segreti, cullati e custoditi con cura, ma talvolta sporgenti come spigoli pericolosi. E così, mentre la vegliarda cerca di trovare un equilibrio con se stessa e la figlia sotterra i suoi fidanzati scottanti, la nipote è alle prese con il nodo più evidente da sciogliere. Il passaggio da femmina a maschio.

ge2Il denominatore che le unisce è dunque il sesso in tre diverse declinazioni di se stesso, con annessi problemi di differente origine. L’anziana deve farsi accettare con la sua tardiva scelta di omosessualità. Ha atteso la terza età per uscire allo scoperto e vivere il resto dei suoi anni con una compagna. La sorprendente sterzata depaupera la sua autorevolezza e mette in discussione la propria saggezza materna agli occhi di una figlia, alla quale non risparmia critiche, pur sapendo di non essere all’altezza di una irreprensibilità che la ponga al riparo da giudizi talvolta imbarazzanti. La figlia nasconde trascorsi di discutibile leggerezza. Ha dato alla luce una bambina con il fratello del fidanzato dell’epoca, ma tenta di convincere se stessa e la ragazza di essere stata abbandonata da un compagno irresponsabile. La verità emerge quando la giovanissima deve far firmare al padre il consenso all’operazione – terapeutica e chirurgica – che la porterà a diventare un uomo. L’occasione la costringerà a far luce su chi sia veramente il genitore, mettendo a nudo i frivoli legami sentimentali della madre  nel periodo dei suoi vent’anni.

Omosessualità criptata e poi manifesta. Eterosessualità fin troppo leggiadra, ma vergognosamente celata. Identità di gender in attesa di riconoscimento. Le 3 Generations del film sono rispettivamente rappresentate nelle tre figure, poste l’una di fronte all’altra come davanti a uno specchio che finisce per riflettere le difformità delle loro vite. Ne scandaglia i risvolti e ne denuncia i vizi, più che soffermarsi sulle virtù. La risultante finale è una sconfitta per due e la morale che, in fondo, si è tutti diversi, anche quando si tenta di nascondere altarini poco prestigiosi. Non certo una tematica particolarmente innovativa e la Dellal cade di tanto in tanto in una forma retorica che non stanca solo perché quest’opera è totalmente priva di prolissità, caratteristica che la rende decisamente accettabile. Il tono è serio e non indulge alla banalizzazione. Quello delle tre generazioni di donne è un dramma autentico anche se, di tanto in tanto, qualche situazione tende a fra sorridere. Non si fraintenda, 3 Generations è stato concepito per far riflettere, ma non è affatto scontato che la sessualità sia il problema più urgente e traumatico per uomini e donne del XXI secolo.

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