didDue famiglie. Una era morta, l’altra filmava

 

Un delitto nero nell’Alabama razzista di metà Novecento rimasto senza colpevoli apparenti. A distanza di oltre mezzo secolo la memoria di chi sparò non è mai stata violata e la vittima giace in una tomba anonima in qualche cimitero sperduto dello stato americano. Travis Wilkerson, discendente di S.E. Branch, sospettato di aver ucciso il nero Bill Spann nel suo negozio di alimentari, fruga tra le pieghe della sua famiglia nella certezza di trovare la verità dopo decenni di mistero. E invece. La giustizia che mai punì – e nemmeno accertò – la colpevolezza di Branch, rimane sorprendentemente distaccata dal caso. Il bisnonno del regista si è portato nell’aldilà un segreto che tuttora resta un giallo inviolato. Per Wilkerson è una sfida e si conclude con una presa d’atto sull’omertà, vera e propria, che circonda genitori e parenti. Un muro di gomma sembra insomma proteggere Branch da un’ammissione che oggi restituirebbe solo la dinamica dei fatti. Invece, è all’interno delle mura casalinghe che si consuma il peggior sopruso. La difesa di un uomo cattivo. Violento. Arrogante. Uno che sfiorò il Ku Klux Klan in anni in cui i diritti civili erano in discussione ogni giorno. E Rosa Park approdò in Alabama, per poi diventare nel ’55 divenne il simbolo della “liberazione” nera. Questione di autobus e di posti riservati. Ma anche di giustizia ed equità. Quella che a tutt’oggi si è persa con Branch, eppure allora era terribilmente di attualità. Dothan, bianchissimo ma non candido sud degli States,  è uno di quei lillaggi in cui non si vorrebbe mai vivere. Fatto di sorrisi e sguardi in cagnesco. Di amici scelti in base al colore della pelle e nemici giurati individuati con lo stesso criterio. Bianchi contro neri, insomma. A qualche centinaio di chilometri da Selma e da quel ponte che divennero l’emblema del protesta pacifica dei seguaci del reverendo King, poi divenuto per tutto il mondo il martire Martin Luther King e il predicatore più citato in tema di uguaglianza sociale. I have a dream… Il sogno di Travis Wilkerson era di cancellare dalla memoria e dalla cronaca le bugie e i silenzi che hanno avvolto e protetto S.E. Branch. Invano.

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Did you wonder who fired the gun – ovvero “ti sei mai chiesto chi sparò” – è un documentario tinto di giallo e girato in casa. O meglio, in famiglia. Non ci sono personaggi. Non ci sono nemmeno set. Soltanto qualche testimone dell’epoca, rimasto ancora in vita. Purtroppo, reticente ancora oggi. L’impegno del regista tuttavia vale il film. Merita molto più della ridotta notorietà che vanta e il pericolo è che non venga distribuito perché piacerebbe – e molto – agli appassionati di thriller e mistero, ma anche a chi si lascia affascinare dalle indagini, frugando tra cronaca e storia. Wilkerson ci mette del suo nel ricostruire quanto avvenne nel ’46 in quell’angolo di Alabama. Dothan. Dove tutti conoscevano tutti. E sui gradini della rivendita si trascorrevano le ore dell’imbrunire tra un sigaro e una chiacchiera. Un negozio di alimentari che oggi esiste pur con funzioni diverse, ma con lo stesso bancone che vide un proiettile a bruciapelo uccidere un nero di 46 anni. E lasciare che la sua memoria e i suoi discendenti – moglie e due figli – finissero divorati e risucchiati nell’oblio. La famiglia che film esiste e tace, l’altra è morta se non scomparsa da quel micro universo tenuto insieme dall’odio. Le ricerche di Wilkerson restano appese a un filo, ma mostrano che la verità è compresa fra due testimonianze. Una nipote di Branch che attribuisce la responsabilità dell’omicidio al nonno. Sparò per uccidere Spann, non un nero. Quello sconosciuto sarebbe entrato in negozio, armato di coltello, rincorrendo una donna. E la seconda che invece denuncia le colpe dell’assassino. “Era un uomo cattivo, nonno Branch. Picchiava la moglie e anni prima era rimasto invischiato in un altro delitto, che nessuno cercò di chiarire perché aveva amici al commissariato”. È il ritratto di un mostro sotto l’aspetto presentabile di un uomo qualunque, ma è ancora la politica a “illuminare” queste due versioni. La prima nata negli ambienti dei razzisti bianchi di cui la zia del regista, nipotina prediletta dell’assassino, faceva parte. La seconda era un semplice ripetere ciò che una famiglia tutela. Per vergogna o per miseria.

Alabama, 1932. Quattordici anni prima che Branch sparasse a Spann. Un altro nero e un altro bianco, uomini contro.  Harper Lee aveva reso celebre il caso con il romanzo Il buio oltre la siepe. Trent’anni dopo, il cinema ne aveva ampliato la cassa di risonanza. L’avvocato Atticus Finch (Gregory Peck) era riuscito a evitare il linciaggio di un uomo accusato ingiustamente di abusi sessuali. Il richiamo a quel precedente è chiaro in Did you wonder who fired the gun, che vanta un apparato di fotografie di grande valore documentale. L’immaginaria cittadina di Maycombe dove è ambientato il dramma di Harper Lee assomiglia all’Alabama di Wilkerson. Quella di  Dothan. Abbeville. Montgomery. Selma. Nere di rabbia e di politica malata. Il documentario di Wilkerson non è riuscito ad accertare la verità oggettiva che avrebbe voluto, ma ha centrato il traguardo di dipingere il vero volto dei protagonisti di quel delitto. A ulteriore conferma che non siamo tutti uguali anche se i benpensanti si ostinano a inculcarci questo dettato. Esistono morti di serie B e cittadini di nessun interesse che non meritano alcuna verità. Questo è Bill Spann, morto nel nulla. Ucciso da un signor nessuno che mai pagò per le sue colpe. E nemmeno ha avuto l’onore di una tomba con il suo nome. Il nome della vergogna del suo uccisore. Bill Spann era nero e viveva in Alabama. Questo era il peccato che doveva espiare con quel proiettile benestante. Ma quanti Bill Spann aspettano una giustizia che si chiama verità.

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