ogni2Jonathan ha imparato da piccolo che cosa volesse dire essere attaccati alla vita. La prima immagine del papà fin da quando aprì gli occhi al mondo era quella di un uomo tetraplegico, paralizzato dal collo in giù. Una tragedia, più che una disgrazia. Ma la causa di quella sciagura non fu accidentale, bensì malattia. Un a poliomielite che a soli trent’anni lo condannò a morte. Era l’inizio degli anni Sessanta e molte cure oggi diffuse erano sconosciute. A quello sfortunato mercante di tè non furono concesse opportunità. Solo pochi mesi di vita. Poi, la fine. Il merito di Robin – questo il nome del papà di Jonathan – non si arrese e con l’aiuto determinante della moglie Diana riuscì a vivere. A lottare per i diritti dei disabili. E a veder crescere il figlio che la donna portava ancora in grembo quando si trovò colpito da quella patologia senza cure. Robin visse indipendenza completa e totale da un respiratore e non si negò le gioie che la vita poteva ancora riservargli, pur in un destino così crudele. Quella di Robin è una storia vera. La sofferenza di un inglese che sposò la donna dei suoi sogni e con lei visse fino all’ultimo battito del cuore. Vincendo la scommessa con la morte e con il vicino di corsia che aveva giurato sulla sua fine. E ha dovuto sborsare i cinque dollari dell’azzardo perduto. Il piccolo Jonathan Cavendish è poi cresciuto e la sorte ha deciso che diventasse un produttore cinematografico, oggi famoso per aver Il diario di Bridget Jones. E ora per Ogni tuo respiro di Andy Serkis, il regista di The war – Il pianeta delle scimmie. Jonathan Cavendish ha voluto che la vita di suo padre diventasse un film e sul grande schermo approda una storia d’amore e di coraggio. Struggente come sa essere soltanto il sentimento vero. E l’audacia di chi non cede.

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 Il cinema attinge dunque ai ricordi di famiglia con la poesia di chi vuol regalare la speranza anche a chi rischia di perderla. A chi si sente sopraffatto. A chi teme il peggio e di andare ancora più a fondo dopo aver già toccato il fondo. Non a caso nei panni del protagonista è stato scelto un fuoriclasse del calibro di Andrew Garfield, il soldatino obiettore di Mel Gibson ne La battaglia di Hacksaw Ridge e uno dei frati in missione in Giappone in Silence di Martin Scorsese. Schivo e riservato per indole e natura, l’attore anglo-americano è apparso da subito il profilo più adatto per il ruolo di Robin Cavendish, che attraversa i vari stadi di un’esistenza dai mille volti. L’esuberante giovinezza, sconquassata dai turbamenti dell’amore e dell’ambizione, viene travolta dal male che la precipita nello sconforto e nell’abbattimento. Nella rassegnazione e nella resa. Ma proprio questa sensazione di impotenza viene messa in fuga per il decisionismo della moglie (Claire Foy) che lo scuote e gli regala la felicità. Furono fra i primi a costruire la sedia a rotelle e a montarvi un respiratore in modo che un malato non fosse condannato prematuramente. Quello che è oggi uno strumento diffuso e collaudato era allora un prototipo. Poco più che un esperimento. Il film di Serkis è forse uno dei pochi film che non accendono il sogno, ma offrono un dono che non ha prezzo. La speranza. A chi rischia di perderla. O potrebbe averla già persa. La parabola di Robin sta tutta qui, nell’umanità di chi realizza tutte le sue aspirazioni in un baleno e in un baleno le vede perdersi fra le sue mani e i suoi giorni.

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Dedicato a chi è convinto che in compagni di un handicap non si possa più vivere, Ogni tuo respiro è un insegnamento forte anche per chi vive nella piena facoltà del proprio fisico e non teme che alcunché possa sconvolgerne il ritmo. A differenza dei molti altri titoli che hanno al centro della riflessione la malattia, spesso irreversibile, quest’opera di Serkis affronta i temi più dolorosi della sofferenza fisica e psicologica con gli occhi del cuore. Senza cedere ad alcuna forma di pietismo o di sdolcinato favoleggiamento di eroismi estemporanei, si guarda alla frontiera che sta oltre la disabilità, Al di là del dolore. Il tono del racconto è lontano dalla retorica del male ma affronta, talvolta perfino con uno scanzonato ottimismo e un’eccessiva guasconeria, quella che è invece la capacità di reazione e l forza di volontà. Ogni tuo respiro andrebbe visto insomma con uno sguardo o un ricordo rivolto a quelli che eravamo in quei lontani anni Sessanta quando la poliomielite di allora era la sla o la spina bifida di oggi. Un male senza cure e senza appello. Una morte annunciata che non dà possibilità di sottrarvisi. E consente di capire non soltanto quanta strada è stata fatta negli anni – aspetto superficiale e poco indicativo – ma soprattutto quanto possa giocare a favore di miglioramenti futuri e non futuribili il coraggio di chi non si lascia sopraffare. Robin, la bandiera di difensore dei diritti dei disabili rappresenta l’uomo che ce l’ha fatta. E ha indicato la via a chi forse l’ha perduta prima del tempo. Essere attaccati a una macchina respiratoria non è un limite, ma un modo di vincere. L’unico che talvolta rimane. È attaccamento alla vita, non a una macchina. E Jonathan l’ha imparato subito. Il primo insegnamento di papà.

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