“Paddington 2”, la genuinità del dono diventa una trappola pensata dagli uomini
La zia Lucy dice sempre che in ogni uomo c’è del buono. Basta cercarlo.
Tre anni dopo, Paddington è un orsetto ormai ambientato nella poco tranquilla Londra. S’avvicina Natale, ma questo conta solo per gli uomini che non vivono la finzione del piccolo pachiderma e vanno al cinema. Lui, il cucciolo della fiaba, non conosce il letargo ma sa bene che cosa sia la nostalgia. E il regalo che vuole acquistare non è di quelli destinati a finire sotto l’abete. Vuole inviarlo a zia Lucy, l’orsa che lo ha salvato dalla morte e vive il suo compleanno lontana da lui, sognando quella capitale britannica dove ha inviato il piccino perché vivesse in una città buona. E qui ha trovato la famiglia Brown che l’ha amato e allevato. Tre anni dopo, Paddington è sempre l’orsacchiotto appena arrivato alla stazione londinese che, appunto, ha dato il nome a quel trovatello di allora. Ebbene il piccolo ha individuato un libro che potrebbe piacere a zia Lucy. Appartenendo a un altro regno, diverso da quello del genere umano, gli unici beni che possiede sono un panino alla marmellata d’arancia e un soldino per telefonare a casa. Ogni riferimento a ET è, forse, puramente voluto. Ma tant’è, a Paddington servono soldi per il regalo e si adatta a fare il lavavetri per racimolare gli spiccioli necessari da dare all’antiquario. Quando arriva il momento dell’acquisto, però, a precederlo è un ladro. La vicenda s’ingarbuglia, l’orsacchiotto finisce in cella ma non desiste dalla volontà di incastrare il vero colpevole, al posto del quale un giudice vendicativo ha messo proprio lui per la bellezza di ben dieci anni. Dalla prigione la caccia al furfante è più ardua ma, ad aiutarlo, ci sono sempre i Brown. E non solo…
Le strade del piccolo incrociano quelle di un attore in disarmo alla ricerca di ricchezze, un vigile antipatico, un luna park dai mille segreti, uno chef incapace nelle patrie galere, il volto mite del derubato che mai ha creduto alla versione del Paddington furfante, stabilita dalla legge. Paddington 2 di Paul King, lo stesso regista del precedente Paddington, uscito nel dicembre 2014, mescola temi attuali. L’errore giudiziario è il primo di questi e, come al solito, ad essere incastrato, è il solito malcapitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. L’orsetto, nella fattispecie. E siccome l’altro, il diverso, è sempre quello più facilmente incastrabile, il piccolo finisce in prigione. Un teorema inquietante sul quale il film indugia tra una tenera schizzata di ketchup e una rincorsa al sospirato libro passando attraverso i giornali – guardacaso – grazie ai quali tentare di incastrare l’astuto rapinatore. Ce la mette tutta anche un cagnolino randagio e perfino un cigno, ma il mondo dei buoni – si sa – può ben poco nel braccio di ferro con i delinquenti e per prendere un ladro ci vuole… un ladro. Ciò che Paddington non è e nemmeno i Brown sono. Tuttavia, l’unione fa la forza – secondo tema indagato – e, se la giustizia è ingiusta, gli uomini possono correggerla quando decidono di sposare la causa degli innocenti, spesso in disgrazia per la loro genuina ingenuità. E se lo sforzo degli onesti viene premiato, non è soltanto da collegarsi al fatto che un film natalizio per bambini ha in sé l’obbligo del lieto fine, ma anche e soprattutto perché ogni convinta determinazione al bene potrà pure passare attraverso mille fatiche, ma alla fine trionfa come è giusto che sia. Questa interpretazione è molto favoleggiante, ma d’altronde risulta impossibile pesarla diversamente, altrimenti la resa ai cattivi sarebbe inevitabile. E non è questo ciò che l’orsacchiotto insegna al suo piccolo e grande pubblico.
Il film infatti è lontanissimo dalla chiave del giallo a misura di pubblico infantile perché è già dalle prime scene che si viene a sapere chi è il poco misterioso furfante che ha fatto condannare il cucciolo al proprio posto. L’avventura è la tenerezza che contraddistingue Paddington catapultato fra euforia e lacrime. Successi e insuccessi. Perfino tra vita e morte. In un divario di conoscenza che lo separa dal pubblico, sempre al corrente di artefici e colpevoli a differenza sua, che ignora chi sia il reo impunito che lo ha messo nei pasticci, salvo scoprirlo solo alla fine. Il film non è tutto qui perché fra le molte caratteristiche ci sono i multipli finali che si susseguono l’un l’altro fino a riservare qualche sorpresa perfino nello scorrere dei titoli di coda. Nulla insomma è lasciato al caso e lo dimostrano le molte citazioni cinematografiche presenti. Lilli e il vagabondo quando i carcerati avvertono Paddington: “I Brown ti dimenticheranno” e l’orso, per un attimo, alla prima udienza deserta, comincerà a crederci. Il richiamo è al vagabondo che disse la stessa frase a Lilli quando la sua famiglia la spedisce fuori di casa dopo la nascita del bambino. Tempi moderni quando l’orsetto si ritrova tra gli ingranaggi dell’orologio e assomiglia al Chaplin triturato dalle macchine della catena di montaggio. James Bond per il salvataggio subacqueo dell’orsetto, davvero molto simile a tante scene analoghe dell’agente segreto più famoso del grande schermo. E si potrebbe continuare con la rincorsa sui tetti del treno in viaggio, motivo frequentatissimo dalla storia del cinema fin dai suoi albori. Morale di tutte le morali. Gli animali, per chi ancora non lo avesse capito, sono migliori dell’uomo. Conoscono la gratitudine e la gratuità dei gesti. Non nutrono rancori ma non si arrendono alle ingiustizie. Sono puri e ignorano la menzogna, ma ciò non vuol dire che siano stupidi o sprovveduti. Tuttavia, anche gli esseri umani – quando si mettono d’impegno – riescono a combinare qualcosa di buono. Domanda. Quando mai l’uomo combina qualcosa di buono nei confronti di una bestiola… Purtroppo trattasi solo di scene da film. Chissà che a furia di proiettarne non si trasferiscano anche nella vita reale. Firmato Paddington.
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