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Sono troppo vecchio per morire giovane

Amarsi ai tempi dell’Aids. L’omosessualità guarda indietro, rivolge lo sguardo alle vittime di quei dolorosi anni Novanta, in cui i legami fra persone dello stesso sesso erano meno libere e più minacciate di quanto lo non siano oggi a quasi trent’anni di distanza. Jacques (Pierre Deladonchamps in passato nel cast de Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie ad altissimo contenuto gay) è uno scrittore che ha appena svoltato dai quaranta e vive a Parigi dopo un legame interrotto con la donna dalla quale ha avuto un figlio. Arthur (Vincent Lacoste già visto in Lolo-Giù le mani da mia madre accanto a Dany Boon) è uno studente sorridente e sbarazzino, irretito dalla figura ingombrante di quell’amico e compagno sieropositivo. È una relazione sofferta, la loro. Minacciata da una patologia che trent’anni fa mieteva morti senza perdonare nessuno e adesso continua sulla stessa falsariga, ma la medicina ha imparato a controllare la malattia. Quel sentimento, spontaneo e senza condizionamenti, vive lo spazio ristretto di un’estate. Jacques ha poco tempo davanti a sé e lo sa bene. Arthur prova a farglielo vivere con la gioia anche se ha una data di scadenza. Plaire, aimer et courir vite di Christophe Honoré è film di rapporti e intrighi impolverati che sanno di un passato ormai remoto, ma tutt’altro che dimenticato ed è proprio questo il tasto su cui batte il regista e il tema dominante dell’opera.

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Raccontare e raccontarsi a chi non ha vissuto quella stagione o a chi, pur avendola attraversata, l’ha seppellita negli archivi dell’oblio. Primo testo francese in passerella a Cannes 2018, si sposa idealmente con 120 battiti al minuto di Robin Campillo, presentato al festival in Costa Azzurra l’anno precedente. Lo spunto e l’obiettivo non cambiano, a essere diversi sono ambientazione e racconto. La protesta e l’agitazione degli ambienti omo nel 2017, un intreccio di sentimenti con meno sesso esibito e sofferenze lasciate sullo sfondo con il lavoro di Honoré. Un unico intento che traspare nitidamente nei due testi e rappresenta il filo di una continuità forse non pienamente voluta negli intenti ma raggiunta nei fatti. Plaire, aimer et courir vite è opera impegnativa per il pubblico più che per il cast tecnico e artistico e mette in primo piano una relazione viziata da una malattia che ne condiziona l’esistenza. Nessuna scena affonda in rapporti sessuali difficili come accaduto con Campillo, ma la spontaneità e il rapporto fra Arthur e Jacques rischia di perdersi in mille dettagli, costituiti da figure che attraversano la narrazione senza quasi toccarla. È il caso delle uniche due figure femminili – l’ex fidanzata del più giovane e l’ex moglie del più maturo – oltre ad altri due personaggi riconducibili a una natura gay che fanno da contorno ai protagonisti. Uno dei due addirittura muore, mentre l’altro si serve di un sesso a pagamento suggerito più che mostrato esplicitamente. Il film, tutt’altro che imperdibile, è molto garbato come nelle abitudini francesi più raffinate, tuttavia non riesce ad accendere emozioni. Il difetto maggiore è quello di “copiare” un tema e un argomento a così breve distanza di tempo. Sono troppo fresche nella memoria e negli occhi dei cinefili le riprese di Campillo che in Italia sono arrivate dopo sei mesi dall’uscita a Cannes. L’accusa di un aggrovigliamento un po’ retorico e poco fantasioso di temi e spunti è molto più di un’ipotesi per questo film che non brilla per originalità di montaggio e narrazione ma appare vivace nella colonna sonora decisamente fuori dagli schemi.

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