UnknownJoseph era rimasto con la tromba in mano. Suonava ma nessuno rispondeva. Intorno a lui, sui campi di Waterloo, era una distesa di cadaveri. Joseph era inglese, quindi un vincitore. Tuttavia è risaputo, in guerra perde solo l’umanità. Dunque anche lui era uno sconfitto. Da Waterloo a Peterloo corrono quattro anni ma, se il primo è proverbiale, il secondo non lo conosce nessuno. La civilissima intellettualità britannica l’ha oscurato perché, come sottolinea l’assonanza, furono entrambi sconfitte e devastazioni. Eppure, dopo la vittoria contro Napoleone, l’Inghilterra aveva premiato il suo eroe – il duca di Wellington – ma la gioia si era presto rivelata di breve, anzi brevissima, durata. L’isola era drammaticamente divisa tra ricchi – l’aristocrazia – e poveri, tutti gli altri. Il reduce Joseph non sapeva neppure lui dove si trovasse. Aveva perso il senno e la lucidità. I proiettili in trincea gli avevano tolto tutto. E dopo quella vittoria che puzzava tremendamente come una sconfitta, gli sembrava di vivere un’altra disfatta. Manchester è il cuore del malcontento, l’insoddisfazione si diffonde e diventa palpabile tra gli spiccioli che mancano e le accuse di furto, spesso azzardate e talvolta reali. Ma colpa della disperazione. L’economia, in ginocchio per pagare il conto della guerra, vessava chi lavorava e a questi ultimi, in tasca, non restavano che le briciole. Insofferenza e proteste divorano i giorni.

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La capitale dell’industria tessile si trasforma così in una polveriera e la contestazione popolare è in gran fermento. Correva l’estate del 1819 e il 16 agosto faceva un caldo soffocante ma era il giorno della pubblica assemblea. La città pullulava di contadini e semplici famiglie, riunite nella piazza di St. Peter a costo di viaggi talvolta lunghi. Perfino a piedi. Erano rappresentate anche le località più lontane della contea. La richiesta era la possibilità di eleggere propri rappresentanti e votare. Una prerogativa riservata agli uomini adulti in possesso di redditi da latifondo oltre una determinata soglia. In una parola, i ricchi. La risposta è stata un massacro che la storia inglese ha tenuto nascosto e silenziato pure nelle scuole di Sua Maestà. E questo è lo spessore maggiore di un’opera che restituisce risonanza a vicende cadute nell’oblio. Ben venga dunque la ricerca storica di Peterloo di Mike Leigh, regista molto attento a fatti e personaggi di casa propria – suo era anche Turner, biopic sul celebre pittore britannico – e scrupoloso nel dar voce e sottolineature a tratti drammatici ingiustamente offuscati. Dalla Waterloo napoleonica alla Peterloo dell’allora sovrano Giorgio III il passo non è lungo nemmeno nel titolo ed è molto interessante la lettura della sconfitta del Bonaparte dalla prospettiva dei vincitori, reduci nelle proprie case con quelle evidenti e insopprimibili tare che simboleggiano le pene del trionfatore. Un successo dagli auspici nefandi, quello di Wellington, visto che, a quattro anni dalla battaglia che decise la caduta dell’imperatore francese, una nuova Waterloo – stavolta tutta inglese – mise in subbuglio la situazione sull’isola.

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Il film di Mike Leigh è di buona fattura con ricostruzioni sociali attente e scenografie affascinanti. Molto calibrata la scelta di interpreti e popolani fra i quali si stenta a comprendere il protagonista. Non lo è l’inetto sovrano che compare in scena verso la fine, non lo sono le molte ma assai ben costruite comparse dalla caratterizzazione precisa e seducente. Non lo è pienamente l’oratore Henry Hunt (Rory Kinnear già incontrato negli ultimi 007 e The imitation game) e neppure Nellie (Maxine Peake già nota per La teoria del tutto). E forse se occorre trovare il ruolo predominante, questo va individuato nell’eccessiva prolissità. Una buona mezz’ora poteva essere risparmiata allo spettatore senza che la trama subisse mutilazioni sostanziali, rendendola inefficace o poco incisiva. L’intero asse narrativo si regge su dialoghi intensi e fiumi di parole che rubano la scena all’azione vera e propria, relegata in secondo piano. Le imponenti scenografie in costume appaiono sovrastare contenuti espressi dai dialoghi più che dalle immagini. In buona sostanza un film fatto di parole in cui i fotogrammi sono spesso autentici quadri in cui visualità e sonorità si scindono  in due aspetti chiamati a convivere ma abbastanza dissonanti.  Peterloo piacerà agli amanti della Storia – quella con la esse maiuscola – che vi ritroveranno fatti e personaggi quasi totalmente inediti e ai quali verrà regalata l’occasione per soffermarsi su un episodio al di fuori dei circuiti divulgativi tradizionali. A differenza di altre circostanze storiche non esiste neppure un monumento che commemori la strage di 15 persone innocenti e tranquille e il ferimento di oltre quattrocento che chiedevano di esercitare un loro diritto. Il voto.

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