“Qualcosa di meraviglioso”: scacco matto all’immigrazione crudele
Storie di straordinaria immigrazione. Viaggi di speranze che non approdano mai in porto ma navigano in un mare di carte bollate. E in Francia la vita è durissima per chi non ha lineamenti europei. Come Fahim. Come papà Nura. Partiti dal Bangladesh con un miraggio in valigia e giunti a Parigi con l’ambizione di trovare un rifugio a guerra e sofferenze e preparare la strada al trasloco dell’intera famiglia. Quello che la burocrazia impedisce lo appianano invece i trionfi sportivi anche se la disciplina in questione non è delle più popolari e frequentate. Gli scacchi. Il piccolo è un talento e in patria si era già distinto per i successi nei tornei scolastici. Sotto la tour Eiffel, Nura trova un maestro, a dir poco burbero ma molto abile a trarre il massimo dai suoi allievi. Con padre e figlio bengalesi i problemi sono però accentuati. Gli orari delle lezioni non vengono rispettati e serve un’educazione civica che l’insegnante, con i suoi modi rudi, fatica a trasmettere. La richiesta di una regolarizzazione fallisce ma, nel frattempo, il piccolo Fahim conferma le attese. Sulla scacchiera è un fuoriclasse. Lo sport, in buona sostanza, salva entrambi e i due bengalesi riusciranno ad attirare su di loro e sul loro destino l’attenzione inizialmente distratta da norme e regolamenti.
Qualcosa di meraviglioso di Pierre Francois Martin-Laval è una favola a lietissimo fine che non appartiene però al mondo della fantasia e dell’invenzione. Quella di Nura e Fahim è una avventura realmente accaduta che approda sul grande schermo in una fase politica internazionale che vede il nodo dell’immigrazione al centro dei dibattiti. Tra commozione e tenerezza il film tocca il tasto della disperazione di chi fugge e della difficoltà di soccorrere i profughi da parte di Stati e governi. Al di là di menzogne e strategie elettorali, le vicissitudini dei protagonisti si sommano a leggi variamente interpretabili e il regista francese mette l’accento proprio sulle difficoltà di chi emigra deciso a costruire una nuova vita e, nel caso del piccolo Fahim, di un futuro che non avrebbe a casa propria. È ben noto quanto lontano porti ogni discussione in chiave sociale e politica. Restando ancorati al film emergono le difficoltà di ambientazione e integrazione che portano in superficie anche i problemi personali di chi, quelle emergenze, dovrebbe invece risolvere. Il maestro di scacchi – un Gerard Depardieu lontanissimo da Lui portava i tacchi a spillo – è l’emblema della severità di uno sconfitto, a suo tempo, al quale non resta altro se non un modesto ripiego professionale. In un certo senso è un profugo di se stesso, il campione che ha perso la consacrazione e vive nella derisione e nella solitudine di un sogno mai raggiunto. Una situazione per qualche verso speculare a quella dei due emigranti senza però il salvagente di una rivalsa che lo affranchi dalle sue cadute.
In un punto intermedio sta invece Mathilde (Isabelle Nanty già vista ne Il favoloso mondo di Amélie) che deve appunto gestire quell’uomo ingombrante che è l’insegnante e le difficoltà dei due esuli bengalesi. Un compito che rappresenta il tentativo di non ostacolare la legge mostrando tuttavia quell’umanità che i codici non sanno avere, tenendo conto che il caso personale può essere diverso dalla collettività di emigranti, non sempre di specchiata genuinità e buona fede. L’epilogo che tende a strappare una lacrima anche ai cuori più duri conferma però l’abilità del cinema francese nel toccare argomenti che sarebbe stato fin troppo facile precipitare in una china di pura retorica. In Qualcosa di meraviglioso c’è l’umanità che si sottrae a qualsiasi tessera politica e non vuole tirare volate al cacciatore di voti di turno. Insomma, la favola per la favola che, nell’approssimarsi del Natale, non guasta. Un consiglio. Evitare gli sprint verso l’uscita sull’ultima scena, abitudine troppo tristemente e ingiustamente diffusa alle nostre latitudini. I più frettolosi perderanno l’occasione di vedere il vero volto dei protagonisti di questa fiaba che, prima di diventare tale, è stata incubo e disperazione per chi l’ha vissuta sulla propria pelle.
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