Che cosa c’è sullo scaffale del cinema “I morti” tra Murnau e Chaplin
Una bionda vaporosa e un sogno. Un uomo che dà l’addio al padre. E fugge lontano dove le ombre della fine non possono raggiungerlo. Un burocrate che rincorre un progetto di celluloide venuto dall’Europa con i suoni gutturali di un Paese che non conosce il mare. E neppure il rumore di un ciak. Sullo sfondo di anime diverse c’è un palcoscenico unico, quello del cinema anni Trenta che diventa un totem e un tabù. Il sogno. La fuga. Il lavoro. La delusione. La fine. Un universo scintillante dove si agitano le stelle. Chaplin che li visse e Murnau che li intuì e sul loro nascere se ne sarebbe andato. E Yasujiro Ozu, il maestro dei maestri del sol levante giapponese, dove il romanzo dello svizzero Christian Kracht – I morti (La nave di Teseo, pp. 190, euro 19) – trova scena e ambientazione. Siccome non è universalmente possibile parlare di cinema restando lontani da Hollywood, è proprio la colina più famosa del mondo ad ospitare gli ultimi fotogrammi, pardon pagine, di una narrazione che, volutamente, si abbandona lentamente agli occhi del lettore e sembra prendere idealmente le mosse dalla stagione più lontana della settima arte, quella fatta di tableaux vivants, in cui ogni capitolo sembra costituirne uno. Breve, penetrante, descrittivo. Non c’è un dialogo né uno scambio di battute tra i personaggi, soltanto l’arte e l’ardire di scrivere e descrivere. La passione di narrare. L’ambizione di lasciar sognare. Un po’ come Ida e quell’immagine meravigliosa di una tra le più belle copertine recenti.
Il mito di Jean Harlow, profetessa del sex symbol biondo che Marilyn Monroe avrebbe portato al successo. E alla sua sublimazione. I loro moltissimi i tratti comuni. Il nome. Norma appunto Jean, scritto sbagliato. I colori. L’infelicità. Gli uomini che le hanno amate. La morte prematura. Ingiusta. Inutile. E ovviamente il mito. Andando a ben guardare un filo conduttore che si snoda lento anche attraverso la storia inventata dallo scrittore svizzero perché – diciamolo – di vero non c’è nulla, una volta tanto. E creatività sia. A chi non piace apprezzi almeno il coraggio di aver plasmato qualcosa che la cronaca non racconta. E tutto si sintetizza a un confronto implacabile. Quotidianità contro seduzione. I giorni del protagonista Emil Nägeli e del funzionario Masahiko Amakasu che rosicchiano piaceri fuggevoli, grattati alle ore, alle sere e alle chimere. Le feste luccicanti di Chaplin tirato per la giacca tra imprevisti e contrattempi. L’uomo carismatico e intelligente, chiave d’accesso a un universo altrimenti irraggiungibile. In mezzo, lei. Ida. La donna un po’ chimera un po’ Jean Harlow dei poveri, che sogna quello che vorrebbe diventare. Scalpita come un cavallo ruggente e impazzito. Sullo sfondo di un cinema che non è solo recitazione ma anche approfondimento scientifico nel profilo di Siegfrid Kracauer e la sua storia psicologica del cinema tedesco. E ancora Murnau che fa capolino tra Nosferatu, Aurora e la cultura tedesca da dove Kracht proviene.